giovedì 17 novembre 2016

The Family Man

E' uno di quei film che fa Natale. Di quelli che si ripromettono di creare quell'atmosfera magica che ogni anno vado cercando, e spesso non trovo. Ma questo film mi piace. Perché sì, è la classica commedia, Nicolas Cage è bello e fascinoso, e l happy end è assicurato. Ma non solo. 
Ci sono piccole perle che nell'economia del film potrebbero suonare a vuoto ad un occhio distratto, tipo quando, in una delle sue sembianze, l Angelo (se vogliamo vederlo così) prende le sembianze del commesso di un negozio di alimentari, e volutamente sbaglia a dare il resto ad una ragazzina, che per una coca da un dollaro, si vede dare 9 dollari di resto. E la ragazzina incassa, tace ed esce dal negozio. E l'Angelo dice "ma tu guarda... sporcarsi la coscienza per cosa? per 9 dollari". Questa è una scena che mi ritorna spesso alla mente, quando devo decidere cosa fare. Uno può anche non credere agli angeli, alla coscienza, ma credo di ci sia sempre un momento in cui una persona si mette davanti allo specchio e debba trovarsi faccia a faccia con se stesso. 
Stamattina non ero allo specchio, ma al telefono. E dovevo decidere cosa fare. E ho deciso di pensare solo al mio "tornaconto". Ossia alla possibilità di guardarmi negli occhi senza ombre e poter dormire serena di notte, crisi della Melli a parte. Ho scelto di stare dalla parte dell'onestà e questo sicuramente non incrementerà il mio conto in banca. Ma vi dirò... non me ne frega un accidenti. 

venerdì 11 novembre 2016

ciance sparse...

Le cose che non posso controllare mi creano problemi di equilibrio. Dipendere dalle azioni altrui, per qualsivoglia motivo mi crea sempre ansia e apprensione. 
Tipo quando devo prendere un treno e devo aspettare chi mi accompagni. O, come in questi giorni, attendo la risoluzione di una pratica da parte della mia assicurazione. Pratica che non arriva, che dovrei avere già da 10 gg ma vai tu a capire il perché e il per come. E aspetti. E non dipende da te. Ecco. Delegare e dipendere dalle azioni altrui è una cosa che non sopporto. Lo mal tollero un po' in tutti i settori a dirla tutta. E' destabilizzante. E la cosa peggiore è che tutto in me ne risente, è una di quelle poche cose capaci di farmi incazzare così tanto al punto di farmi salire la febbre. Nemmeno quando ho scoperto il mio ex con un'altra ho reagito così male. 
Ma. Sarà che sono fatta storta. Sarà che sto invecchiando? "Andrà tutto bene" mi dice l'Ing. e io sto cercando di credergli fermamente. Spero abbia ragione. 

martedì 8 novembre 2016

Ciao Puffetta...

Sono gli ultimi giorni che passiamo insieme. E benché tu alla fine non sia altro che un "mezzo" in qualche modo mi dispiace. Che poi alla fine, l'auto non è mai solo la cosa che ti permette di arrivare da A a B, è una sorta di raccoglitore di immagini e ricordi. Una sorta di hard disk, dove tra i tappetini e la polvere del cruscotto finiscono frammenti di pensieri partoriti nelle code in tangenziale. Spizzichi e bocconi di strofe di canzoni canticchiate con nostalgia, o cantate a squarciagola che tanto non ti sente nessuno, e lei, la Puffa certo non fa la spia. Discreta come un maggiordomo di vecchia scuola, hai assistito a mille e una telefonate, confidenze, lacrime soffocate che poi quando si apre lo sportello c è da sfoderare sorrisi che va bene così. Risate commosse o da crampi allo stomaco. Sei stata le mie gambe, quando le mie gambe da sole non erano abbastanza. Con te i miei viaggi andata e ritorno dal Piemonte, la pazzia di partire da sola direzione Gargano. Le strade tra gli olivi assonnati alle 5 del mattino, la pausa caffè in direzione Torino. Gli ultimi 5 anni che abbiamo condiviso sono stati più intensi e tersi di avvenimenti e cambiamenti, di quanto non sia stata mezza vita. Però il tuo contachilometri la dice lunga, tanto lunga, ed è giunto il momento di lasciarti andare. E ho capito che la cosa non ti piace molto, minacci di lasciarmi a piedi ogni volta che cerco di mettere in moto, hai spento un fanale, e non ti viene nemmeno più voglia di scaldarmi... però ti voglio bene lo stesso, e in un angolino di cuore, c è un parcheggio apposta per te. 

martedì 25 ottobre 2016

strapp...

Ed eccomi, con il bisogno di scrivere e i pensieri che, di nuovo, si mettono a spingersi come giocatori di rugby uno contro l'altro. Ci sono cose che faccio fatica a gestire. Una di queste è il distacco. Per certi versi ne parlavo con l'Ing. stamattina, persone importanti, o che pensavi importanti, con cui hai condiviso parti del cammino che diventano improvvisamente estranee. E il più delle volte non  c è nemmeno un motivo valido. Piuttosto un insieme di motivi più o meno validi che hanno iniziato a pioverti addosso come una pioggia di sassi e poi è diventato una valanga. E a quel punto ha spazzato tutto. I momenti commuoventi, il ritrovo alle stazioni, le rincorse con i treni e le linee telefoniche roventi. Le notti di confidenze e parole e gli sguardi di intesa, silenziosi e carichi di significato. Lo spessore di un sentimento, sia esso amore o amicizia viene raso al suolo. 
E a queste cose io non credo mi abituerò mai facilmente. Ma è altresì vero che, se per tenere in piedi un rapporto devi scendere a così tanti compromessi allora meglio uno strappo deciso, come quando devi togliere un cerotto contropelo. O inizierai con il tempo a dover fare a meno di te stesso. 

giovedì 6 ottobre 2016

Rubando l'idea a Daniela...

Ho rubato l'idea di Daniela Q. perché il suo stile mi piace da tantissimo tempo, perché è una Donna da cui ho imparato molto e poi un po' di riflessioni intorno al proprio ombelico alle volte ci stanno pure bene...

Con una colonna sonora così di sottofondo mi piace pensare che:

1. sono
lunatica, un po’ nevrotica, gioiosa, esuberante e fragile.

2. tendenzialmente sembro
lunatica, un po’ nevrotica, gioiosa , esuberante e ‘na roccia

3. frequento
pochissimi ma sono meravigliosi

4. evito
le persone che vanno rincorse, le egocentriche, il “si fa per salvare le apparenze”

5. amo
le camminate sotto ai portici, le Langhe, affondare la faccia sul pancino peloso di Melli, le telefonate che non mi aspetto, il vino con la compagnia giusta, il sole e i temporali, la pioggia battente quando sono casa o al mare, gli abbracci, le coccole smisurate, le coperte morbide, il profumo delle pigne che bruciano, i pizzi e le trasparenze. Cesare.

6. odio
i ciclisti in mezzo alla strada, i peperoni, le persone ambigue, i libri in cui risolvo gli enigmi prima io del protagonista, l ingratitudine e la mancanza di meritocrazia. I disonesti.

7. adoro
il musino incazzoso della Melli quando arrivo a casa tardi, la musica che ti fa tamburellare le dita sul volante, gli sguardi lunghissimi che parlano tra un battito di ciglia e l’altro, le mani tra i capelli, gli assoli di chitarra di Eric, il sesso con i preliminari e i posticipi e gli intervalli le integrazioni e gli inframezzi, il legno di sandalo, i paesetti di mare la sera, la complicità.

8. detesto
l’arroganza, la stupidità ostentata, la ricchezza ostentata, chi mente, le bestemmie dette per sport, un personaggio politico a cui piacciono determinate macchine per la movimentazione del terreno, la violenza in qualsivoglia forma di espressione. I silenzi incomprensibili che diventano muraglia, la mancanza di rispetto per l’amore che c è stato che magari è finito, ma dovrebbe essere per lo meno commemorato.

9. ricordo
i sorrisi di mio padre, una passeggiata con lui alle sei della mattina in spiaggia, la notte che ha passato con me mio fratello in ospedale perché avevo una paura fottuta di restare da sola, il profumo del tabacco trinciato di mio nonno e quello della pipa sulle lettere di A. quando eravamo ragazzini. La pace che sento ogni volta che sono su un treno con la fronte contro il finestrino.

10. rimuovo
i “se” i “ma”, chi non vale la pena di ricordare, le ferite causate da chi poi, ha saputo chiedere scusa sinceramente.

11. resto indifferente
a quasi nulla, purtroppo.

12. mi colpisce
chi riesce a disarmarmi quando mi avvio in modalità cecchino, e non è raro. Chi riesce ad anticipare un mio desiderio prima ancora che lo formuli dentro di me con chiarezza, chi sa scrivere toccando corde che mi fanno vibrare.

13. mi innervosisce
chi dice “stai zitta”, chi non dice per piacere, grazie e buongiorno, la musica che non è musica, la banalità, il non mantenere una promessa, il lagnarsi ad oltranza senza un motivo reale.

14. mi rilassa
il bagno caldo, la musica new age, il profumo dell’incenso, la brezza marina quando fa caldo, il sabato mattina senza sveglia, le chiacchierate con le amiche, guidare di notte, il paneburroemarmellata

15. chiedo
rispetto, impegno, sincerità e lealtà

16. offro
tutto ciò di cui sono capace

17. se mi danno 10
apprezzo, ringrazio e custodisco

18. se do 10
lo faccio di prassi. Se do meno è perché sto prendendo le distanze.

19. impazzisco
per le sorprese, per i pelosi vivi (eccezione fatta per i ragni e i bruchi) e i pelosi peluche, per i quaderni, per le stilografiche, le scarpe con il tacco, e le infradito, per il rombo del motore della McLaren MP4/5 di Ayrton Senna.

20. mi deprimo
quando i pensieri sono troppi, tutti insieme, e non riesco a dar loro un giro…

21. mi vesto
quasi sempre di nero o grigio, ma mi porto dentro un numero imprecisato di colori…

22. mi spoglio
per abitudine, mi faccio spogliare per passione.

23. mi elettrizza
il progetto, il viaggio, il cambiamento.

24. mi demoralizza
il dolore di chi amo

25. mi piacerebbe
abitare in un casolare, con un giardino e tante rose, un caminetto e una grande finestra da cui osservare lo scorrere delle stagioni con una tazza di qualcosa tra le mani, e non fare queste riflessioni guardando dal finestrino di un’auto ferma in coda in tangenziale.

martedì 4 ottobre 2016

Ottobre

E a raccontarlo uno non ci crederebbe, ad un ottobre ancora con le maniche corte, con i sandali per chi osa e le infradito che riesco ancora a dimenticare in giro per casa. 
Eppure. 
Eppure va così, con le pause pranzo a prendere il sole, con il pomeriggio che fa ancora caldo e un cielo azzurro da fare invidia al migliore di mesi di maggio. 
Mi ritrovo a scrivere a cadenza mensile. Non perché non ci sia nulla di nuovo da dire. Direi che di cose nuove ce ne sono, nuove amicizie, nuove parole. Nuovi equilibri. Anche nuove assenze. Però c è anche un nuovo progetto, un nuovo viaggio, l idea di un nuovo sguardo da incrociare, l'amica da riabbracciare. Di cose da dire ne avrei, il punto è che alle volte mi manca la voglia. Mi manca la voglia di raccontarle perché la sensazione è un po' quella di perderli, poi, questi riverberi di luce nuova. Paura di sgualcirli, e allora li guardi un po' così, e li accarezzi come la prima pagina di un quaderno, che è quella che solitamente scrivi con la migliore delle tue calligrafie. Così passano i giorni. 
Spio il calendario e mi torna la voglia di riprendere i contatti con l'altra me. Mi sento come se fossi in attesa di qualcosa. Ma non di un qualcosa qualunque. Mi sento come se fossi al binario in attesa di qualcuno che sta arrivando, e senti il fischio del treno in distanza, lo vedi apparire oltre la curva. Ecco. L'attimo di attesa si sospende e dilata proprio in quel momento: quando ancora non c è, non è qui, ma ormai senti che è ormai imminente, e vedi solo il treno, ma ormai sorridi già. 



mercoledì 7 settembre 2016

Settembre...

Probabilmente, l'unica cosa che rimpiangerò davvero di quest'estate è il camminare scalza. Al più con le infradito, che è un po' come se...
Per il resto da ieri il cielo un po' brontola e un po' piange, e a me non spiace più del dovuto.
Solitamente approfitto dei giorni casalinghi per sistemare casa, buttare periodicamente quello che non uso e fare ordine. L'anomalia di questo agosto è che la casa è stata toccata il minimo indispensabile, però c è stato un bel rinnovamento per ciò che concerne amicizie e conoscenze. L'avevo già scritto tempo fa, secondo me i rapporti sono come il karma.
Per cui mi ritrovo a settembre con la casa che è ancora un gran casino, ma probabilmente la vita un po' più semplice. Che non è male.
Mi sforzo di non guardare il calendario, di non fare progetti ancora. Sto provando a lasciare scorrere il tempo senza buttare continuamente l'occhio un mese avanti. Non è detto ci riesca ma provarci è meglio che niente. Rispetto ad altri anni in cui parto scoppiettante con mille progetti e duemila idee, mi rendo conto di essere ancora a marce basse e di muovermi piuttosto lentamente. Sto provando a cambiare strada. A non fare le scelte per abitudine. E' un correggersi in corso d'opera. Accorgersi del gesto abituale, fermarlo anche a mezz'aria e invertire al direzione. Non sempre. Non è una gara, non è un imposizione. Si va per tentativi e se non sempre riescono di ci si perdona bonariamente.
Mi coccolo.
Godendomi il tempo con la Melli che pareva stringesse e invece sembra dilatarsi di nuovo, riabbracciando le mie certezze, che hanno braccia grandi, chi con gli occhi azzurro mare, chi con i ricci ribelli alla Ligabue. Insomma, non c è nulla di davvero speciale, epocale di cui parlare. Sono tratti veloci di impressionisti su tela, ma è la mia tela, e direi che per ora questi guizzi di ombre e luci mi piacciono molto...

On Air: Passenger - Let her go 

domenica 14 agosto 2016

Riflessioni a carattere sparso...

La famosa e tanto attesa vacanza non è andata come speravo. Anzi... un mezzo disastro. Ma forse disastro è eccessivo, diciamo che tutte le mie aspettative sono collassate. Ecco. Meglio. 
Per fortuna sono ancora a casa, ho altri giorni, altro tempo. Sto cercando di recuperare il meglio trattandomi bene, cercando di curare di più la mia casa (sì, lo so... ne vado così orgogliosa), i ritmi sono scanditi dal fare quello che mi sento di fare nel momento in cui lo penso. Non ho progettato altro, mi sveglio e decido. Oggi per esempio avevo una mezza idea di andare in piscina, e invece credo sperimenterò il nuovo ferro da stiro, mentre farò una carrellata dei miei film preferiti. 
Ho deciso che faccio ricresce i capelli, mi mancano i miei ricci spettinati. 
Ho deciso che devo assolutamente, e sottolineo assolutamente smettere di procrastinare con inutili scuse, e tirare fuori il mio sogno dalla scatola che tengo sotto al letto. Me l ha augurato anche Alberto Angela. E per me che credo nei segni, è un segno. Ieri sera ho riletto un paio di cose che ho scritto e, perdincibbacco, mi sono data quasi della bravina... mi sono ricordata anche quella pubblicità della mastercard "regalare una copia a chi ti diceva di smettere, non ha prezzo". Sarebbe una bella soddisfazione. 
Ogni tanto butto l'occhio al telefono, ci sono pensieri e parole che mi arrivano da lontano, e mi fanno sorridere al display, e sembro un po' scema, d accordo. Ma mi piace lo stesso. 
Ho voglia di baci e abbracci, tipo quelle pomiciate da liceo, dove si stava abbracciati per ore e poi ti rimaneva sul mento il segno della barba di lui, ma che ti fanno sentire al centro dell'universo solo perché "lui" ti guarda con quello sguardo lì, e a te non serve nient'altro per sentirti felice. Ho voglia di un'idea, di una speranza, di un pensiero positivo da coltivare come faccio con le orchidee anche dopo che sono sfiorite. Ho voglia di non farmi prendere dall'ansia degli errori commessi, dalla paura di essere colpita di nuovo... ho voglia di provare a fidarmi della vita, senza pormi più domande del dovuto. Alla fine è risaputo che ha più fantasia di me. 



venerdì 29 luglio 2016

Pronta...

Tra poco si parte... 
Dubito di poter tornare qui quanto prima, e quindi per il momento giro il cartellino "chiuso per ferie" alla porta. 
Sono davvero stanca e svuotata. Conto di ricaricarmi e ripartire con nuove idee e nuove speranze. 
Illusioni e propositi no, non c è spazio in borsa. Voglio viaggiare leggera, l ho detto. 
Lascio a terra anche brutti ricordi, un febbraio che ha provato a spezzarmi, un 2 maggio che ha aperto una ferita nuova di zecca. Lascio sparpagliato per casa tutto il resto così da ritrovarlo quando tornerò abbronzata e rigenerata dal mare. 
Non ho nemmeno troppe parole per cui, lascio a chi passa silenziosamente di cui, il mio augurio di una bella estate. 
Fatevi tante coccole. Ve lo meritate. 

giovedì 28 luglio 2016

the day after...

Ieri non avevo nessuna voglia di uscire. Ma mi aspettavano LaGnocca & IlFigo. Non è che non avessi voglia di vederli, anzi. Ma mi sentivo davvero stanca. E' vero che sono gli ultimi giorni, ma pare che alle 18 di domani sera ci si debba arrivare arrancando. Sono arrivata a casa loro e il divano mi aveva già sedotta, ma LaGnocca aveva voglia di uscire "ok, ma solo un'oretta, domani si lavora..." diooooo quando mi sento fare questi discorsi mi do noia da sola... ma tant'è. 
E invece abbiamo fatto tardi, ho bevuto il primo mojito della stagione e mi sono ritrovata a cantare prima "quello che le donne non dicono" e poi "donne du du du" al microfono del karaoke. 
E infatti oggi il cielo sulla Terra degli Hobbit è nero, e si lascia andare a diluvi ogni 3x2. 
Finché ero in macchina mi scrive Dany, che mi dice che Alberto è in tv. E mannaggia... sono fuori... 
Ritorno a casa tardi, il rum a cui non sono affatto abituata si fa sentire, il mio stomaco mi fa la classica ramanzina che si fa agli adolescenti discoli, provo a dormire nonostante il tasso di umidità alle stelle e intorno alle due mi arriva il messaggio dell'amica insonne che mi manda un'articolo de La Stampa, dove spicca un gran bel vedere. Stamattina entro in ufficio e la prima telefonata è de LaBionda, bella lei! Che mi ha mandato questa foto qualche giorno fa, e dopo dieci minuti di conversazioni prettamente goderecce ce ne usciamo con un "ma posso farti anche una domanda lavorativa?" E ovviamente, non manca mai l'Altra S. con la sua telefonata a farmi compagnia a colazione. 
Oggi guardo fuori dalla vetrina e ho una bella sensazione di pace addosso. Mi sento fortunata. E mi sento amata. Mi sento amata e coccolata in un modo a cui non riesco a fare l'abitudine, ma che sto imparando a riconoscere, perché ti fa sentire appagata e in compagnia anche quando sei seduta da sola in tram, o in un treno e guardi dal finestrino e sorridi tra te e te anche senza un motivo. Molte delle persone che mi vogliono bene non sono nemmeno così vicine. Anzi. Eppure riesco a sentirle, si fanno sentire. 
Dovrei ricordarmi più spesso di quanto ho. E non è uno di quei pensieri filozen, che a qualcuno potrebbero venire a noia. In realtà è vero. Spesso mi ritrovo a pensare di dovermi comprare un qualcosa di nuovo perché se vado lì allora quella cosa mi farà fare bella figura... nel mio ultimo viaggio a Torino ero in infradito e pantalone della tuta e sono stata coccolata lo stesso. Ieri sera avevo la faccia sbattuta, jeans maglietta e stanchezza, eppure Laura nonostante il tutore al braccio mi ha trascinata a divertirmi. E lo so che potrebbero sembrare cose "banali" cose normali tra amici, quasi all'ordine del giorno. Ma io non riesco a vederle così, li vedo come momenti speciali e unici, che la persona che ho davanti mi regala e quando una persona ti regala il suo tempo, ti mette tra le mani la cosa più preziosa che ha. E non cambia niente il colore della maglietta, o l altezza del tacco: il momento perfetto, la situazione perfetta non esistono! 
Oggi mi sento bene, mi sento fortunata, per le amicizie storiche, per quelle che sto guardando germogliare e chissà che vita avranno. Ma se c è un insegnamento da appuntarsi, il giorno dopo una serata speciale nel suo essere normale, è che alla fine non si giudica e non si viene giudicati dalle apparenze. Bensì dalle assenze. 



lunedì 25 luglio 2016

-5 ...

Metà del mio guardaroba estivo ieri era sul mio letto. Con supervisione di Melli, ovviamente.
"Questo lo porto, questo lo lascio... Questo è da stirare... Maaaaammmaaaaa... posso portare da te che c ho il ferro rotto?". Domenica soft. E' così che funziona. Quando cominci a preparare la valigia non è solo scegliere cosa prendere, ma scatenare l'immaginazione. Studi l'abbinamento, ti immagini la situazione e l'umore, perché per mettere una cosa al posto di un'altra devi essere di quell'umore lì. In valigia non ci finiscono solo abiti e costumi. Ci finiscono anche le speranze, e le aspettative di qualcosa che sia capace di sorprenderti e dare una svolta. Anche se si sa che si è artefici di noi stessi e via dicendo. Ma è innegabile che certe sorprese ti facciano felice. Ecco perché ti piace farle. Ecco perché quando vorresti te ne regalassero almeno una, e passi tra l indifferenza e il "ho altro da fare", ci soffri. Bontà di cuore di chi hai davanti capirlo.
Pochi giorni e si parte, per una vacanza "vera" quella che non fai da anni. Quella che hai sognato per anni, con l'amica pazza, quella che può avere la tempesta intorno ma ti telefona ridendo. Quella che ti ha commosso con una sorpresa per il tuo compleanno che "i 40 anni capitano una volta eh". Abbiamo deciso di organizzare nulla. Così da farci sorprendere anche lì. Come dire, partiamo all'avventura e affidiamoci alla vita.
Si parte verso il mare, verso il sole accecante, verso nuove amicizie, verso qualcosa che non sappiamo ma che già a guardarci scoppiamo a ridere. Partiamo così. E per ora mi sembra un bel partire.

mercoledì 20 luglio 2016

Nessun rimpianto, nessun rimorso...

Andare e lasciare andare.
Senza ansia, senza pesantezza. Senza.
Decidere che tutto quello che si poteva fare lo si è fatto, alle volte pure smuovendo emozioni conto terzi, mobilitando sinergie alternative e inventandosi soluzioni là, dove sembrava non potessero esserci. E ritrovarsi tra le mani qualcosa in più del niente, ma inconsistente come zucchero a velo.
Sì, lo zucchero a velo è dolce. Ma è per definizione è polvere leggera, respiri appena e vola e via. Non lo puoi stringere, non lo puoi trattenere, e se preso da solo, tutto sommato non è nemmeno buono. Non ti dà soddisfazione, per dire.
Non c è rabbia, non c è recriminazione. Probabilmente certi rapporti sono come le vite, esaurito il karma si spengono. Hanno dato quanto c era da dare e poi si fermano lì. E' vero che se le cose contano, contano davvero, vale la pena di lottare, ma mi accorgo di essere stanca di lottare sempre e comunque da sola. Essere sempre la sola che si sobbarca il 90% del percorso, per andare in contro a chi, tutto sommato non pesa farmi aspettare.
Mi spiace, ma io mi fermo qui. Non chiudo porte e finestre, non mi barrico dietro ad un trincerato silenzio. Anzi. Semplicemente smetto di rincorrere e rispetto il mio passo, forse faccio una sosta o una deviazione. Chi avesse voglia di raggiungermi non ha che fare un cenno, mi fermo all'ombra e aspetto. 

venerdì 15 luglio 2016

...

Mi riesce solo di essere triste. Mi riesce solo di aver paura. 
Anche se la tristezza me la porto addosso come un'abito che spesso mi sta comodo, la paura la tolgo di fretta, come una maglia troppo stretta o una di quelle di lana che pizzica e mi dà un gran fastidio. 
Tra un po' riparto, questa volta per una vacanza sperata sognata e desiderata. Per una meta diversa più lontana, sempre procrastinata a momenti migliori. Pensavo che i momenti migliori fossero questi. E invece. 
E invece parto lo stesso. Anche se ammetto che l'idea di aeroporto e aereo mi inquietano. Che mi sono ritrovata a pensare che io non so, no posso e non riesco a correre. 
Ecco... è da stamattina che se mi immagino una scena terribile, mi ritrovo a vedermi ferma immobile. O comunque lenta, presa in giro da una sorta di "selezione innaturale"decisa anni fa. Magari domani farò una lavatrice e inizierò a pensare a cosa mettere in borsa. Spero solo di non infilare nessun'ansia da orticaria, nemmeno nel bagaglio a mano. 

mercoledì 6 luglio 2016

Pensieri random...

"Voi ragazze single pensate solo alle ferie". Così mi apostrofò tempo fa un cliente che, sprovvisto di musica d'attesa, cercava di intrattenermi al telefono in attesa che il suo collega si liberasse. Avrei voluto rispondergli che in realtà pensiamo anche a scarpe, borse e gatti, ma l'ambiente in cui lavoro impone un certo freno alle mie rasoiate. 
E comunque non è una cosa che facciamo solo noi ragazze single. Oggi sono arrivata in ufficio accompagnata da Mammolo dato che la mia smAyrton è a cambiare il parabrezza. Tempo due secondi, dopo il buongiorno si è partiti a fare il conto di quanti giorni manchino alla chiusura. Quest'anno, forse più di altre volte, ci stiamo arrivando stanchi un po' tutti. L'umore non è dei migliori, anzi. Ci si destreggia tra lune storte e lune piene, e si guarda al venerdì sera come un miraggio sempre troppo distante. Si porta pazienza, anche perché appartengo ancora ad una categoria privilegiata: ho una busta paga. Posso pagare l affitto e le bollette e mettere insieme un pranzo con una cena. Non è poi così scontato. Mio fratello il filosofo mi dice "se abbiamo acqua potabile che esce dai rubinetti di casa, possiamo ritenerci fortunati". Ma sto divagando. E non è una novità. 
Con Mammolo si parlava anche del modo in cui stiamo lavorando. Non solo noi, in generale. E' tutto un rincorrere, un annaspare. La tensione sempre a mille, e quello che si fa non basta mai. Si sarebbe potuto fare di più. La domanda successiva è pressoché inevitabile. Mi ci vedo tra 10 anni ad avere ancora l'ansia per le lune di Brontolo? A guardare il calendario e pensare che la vita cominci solo dalle 18.01 del venerdì sera e finisca alle 8 del lunedì mattina? Questa la sola vita possibile? Mi guardo intorno e mi trovo a pensare che ci siano dei scenari, più vicini di quel che crediamo, e nemmeno li vediamo, figuriamoci prenderli in considerazione. 
Un giorno, molto tempo fa, un caro amico mi scrisse "l'idea di cadere è affascinante: solo chi cade può risorgere". E se si pensasse di risorgere senza necessariamente aspettare una caduta? Non staremo restringendo fin troppo il nostro orizzonte visivo? 
Squilla il telefono... uh... Brontolo... vado eh... vado... 

lunedì 4 luglio 2016

Torino the day after...

In uno di quei film in cui talvolta mi crogiolo, ho sentito dire "alle volte si deve scappare, per capire chi ti rincorre". Penso sia vero, anche se come direbbe il mio amico psicologo, forse il mio trauma dell'abbandono mi ha sempre impedito di fare la prova del nove.
D'altro canto potrei aggiungere a seguito la mia versione: "alle volte si deve tornare, per capire chi è lì ad accoglierti".
Guardo la piccola Mole argentata che mi sono comprata ieri, una di quelle cose da turista destrutturato, e penso quanto le mie toccate e fuga a Torino siano intense, ma sempre troppo brevi.
Però mi è servita, ne avevo bisogno. Ne avevo bisogno perché ripercorrere certe strade, vedere certi locali ancora mi punge. Ma resto dell'idea che se vuoi riappropriarti di una cosa, la si debba affrontare.
Mi hanno accolta le mie Presenze. Quelle consolidate, che mi porto addosso e non tradiscono mai. E quelle più recenti, che si rivelano conferme, e anche quelle nuove, che mi hanno regalato sorrisi, risate di cuore, e familiarità.
Mi sono ritrovata a guardare in faccia l'Assenza. Inaspettata forse, meglio così probabilmente. Però... 
Però ieri sera, mentre mi destreggiavo tra i soliti ritardi del treno e i binari affollati di Milano, sentivo il peso di due nuovi libri nella borsa, e pensavo che voltare pagina o finire un libro non significa che si debba strapparlo, anche se il finale non c è piaciuto, anche se lo si immaginava diverso. Lo si ripone nella libreria, ci si può prendere il lusso di sfogliarlo di nuovo, alle volte, riviverne le atmosfere e le immagini. Farsi cullare anche dalla nostalgia, con quell'indole autolesionista che non ci abbandona mai. Ma ci sono altri libri, altre vite. Altri respiri. Il posto privilegiato, quello sul comodino va lasciato libero, per altre letture.
Avevo bisogno di riprendermi la mia città. E questa volta a sorpresa l'ho vissuta da un punto di vista del tutto nuovo: a 150 metri dal suolo. E Lei resta lì a farsi abbracciare sguardo dopo sguardo.
In queste ore ho ritrovato la Dora e il ponte della mia notte di solitudine, una pianta di limoni, e un pancino che già canticchia a tempo di "vita spericolata".
Ho una pallina da golf nuova di zecca, una dedica unica su un libro che mi ha attorcigliate le budella quando è uscito, manco fosse il mio e una serata di emozioni profumata di crostata alla frutta.
Torino non mi delude. Nonostante il tempo non mi basti mai, nonostante i suoi angoli silenziosi e le sue ombre. Ogni volta che riparto mi riempie la borsa di piccole scatole ermetiche di energia e voglia di fare con cui riempire la dispensa e tenere di scorta quando vado in apnea.
E se finiscono, mi attende per un altro viaggio, un nuovo abbraccio.

venerdì 1 luglio 2016

Conto alla rovescia...

Di pronto non ho nulla. 
Di solito avevo già le cose da portar via sopra il comò della camera. Invece niente. Devo fare tutto stasera quando arriverò a casa. Strano per me decidere quasi tutto all'ultimo minuto. Quasi, perché la camicia per domani sera è lì che mi aspetta. è l unica cosa che ho scelto. E poi basta. Seguo il consiglio di un'amica. Porta due cose e te stessa. 
Torno a riprendermi la mia seconda casa. A respirarla di nuovo. Torno a farmi abbracciare da quelle strade che mi hanno vista scappare, desiderando solo che il treno arrivasse il prima possibile. Torno solo io. Non vedo l'ora di partire. Di fermarmi in edicola a prendermi il libro che aspetto da mesi. Di rivedere gli occhi amici che mi mancano. Questo è un viaggio breve, ma speciale. Ne sento il bisogno, ho delle vibrazioni positive che mi arrivano dall'idea che, in qualche modo sarà rivelatore. Forse per la prima volta parto senza parto senza carico di aspettative, solo con una manciata di calma. E di cuore aperto. 

martedì 28 giugno 2016

Di aria condizionata & zenzero...

Non mi piace l'aria condizionata. Trovo sgradevole già il nome. Perché condizionare l'aria? E poi mi costringe a tenere la porta dell'ufficio o le finestre di casa chiuse. In giornate come questa, di sole e brezza fresca tenere la porta chiusa è un delitto. E poi mi manca l'aria. Appunto. 
Guardo la settimana che si assottiglia e aspetto solo di partire. Dire che non vedo l'ora è un eufemismo, già guidando verso la stazione, alle prime luci dell'alba tutta la mia chimica cambierà, ma in questi giorni l'attesa sembra dilatare i singoli minuti trasformandoli. E poi tanto lo so che, da quando mi alzerò prima del sole per prendere il treno, a quando lo riprenderò lasciandomi il tramonto alle spalle, ci sarà solo il tempo di un soffio.
Nel frattempo cerco di sopravvivere: ai nani, alla gente di passaggio, alle rogne che si dispiegano in ordine sparso facendomi passare dalla volante della polizia ad una stazione dei carabinieri. Alla rielaborazione di pensieri e parole che mi si affollano nella testa, spesso accavallandosi. Come accadeva un po' di tempo fa. Con la differenza che sono diventata più brava nell'organizzarmi e nel fare ordine. E' strano e, per certi versi, non ci credevo molto. In realtà succede che abbia le idee chiare su tante cose. Su chi mi gira intorno, sui rapporti che intrattengo... Ho letto da qualche parte che il cibo zen per eccellenza è la consapevolezza.
La consapevolezza ha un sapore strano. Non è affatto appetitosa, come si tenderebbe a pensare. E' a tratti piccante e brucia un po' la gola. Forse è un po' come lo zenzero. Che picca sul palato sulla lingua... ha un sapore amarognolo che non apprezzi subito anzi, sul momento storgi il naso. Ma poi ti lascia un sapore buono... e ti viene da dire "ma sai che..." e magari ne mangi un altro pezzettino, o bevi un altro sorso di tisana... e forse ti pizzica ancora... ma scopri che ti piace. Ma soprattutto, fa un gran bene. Ecco. La consapevolezza, sa di zenzero. 

lunedì 20 giugno 2016

Lo zen e l arte dello scazzo.

 I sintomi ci sono tutti. E ormai li riconosco. La pressione è quasi a livello, e io ho bisogno di staccare. Il fatto di aver rimosso mentalmente 8 giorni dal calendario ed essere convinta che il prossimo sabato fosse il 2 luglio è già di per sé abbastanza indicativo. E' sempre stato così, fin dai tempi delle superiori. Io di tanto in tanto devo prendere lo zaino e andare. Mi basta un giorno, anche due. Devo macinare chilometri, cambiare aria, uscire dai quattro muri che mi diventano pressanti e scoprirmi sotto un altro cielo. E allora ritorno in equilibrio, il mio limite di sopportazione torna ad essere alto e con lui anche la mia tolleranza. Potrei dire che torno serena. Senza scomodare la Felicità, che se la tira già di suo ed è difficile incontrarla, mi sento di dire che la serenità mi regala di per sé delle lenti di color rosa, e pure un po' sfumati. Quando arrivo a questi livelli, le lenti diventano trasparenti, chiare. E tutto estremamente nitido. Vedo le cose ben delineate, con contorni specifici e con l'illuminazione perfetta. In pratica divento scomoda. Dico cose scomode, il filtro del "vivi lascia vivere" va un po' a farsi friggere, fare spallucce non mi riesce più tanto semplice. Che poi me ne pento anche, perché alla fine, mica è la mia vita voglio dire. Ma niente da fare, ormai ho detto quello che penso. E la cosa drammatica è che riesco a dirlo esattamente come lo penso. 
Ho bisogno di partire, di staccare la spina. Guardo i giorni che mi separano dalla mia prima vera Vacanza con la V maiuscola, e resisto. Penso agli intervalli, agli intermezzi che vorrei provare a regalarmi per non arrivare in aeroporto modello pentola a pressione. Ci proverò. E nel frattempo? Nel frattempo ho tolto la porta della cucina. Era in più, se ne può fare a meno. Penso a cose frivole come il "voglio viaggiare leggera" e non lo penso rivolta solo al 2 luglio, ma vorrei provare a farlo tutti i giorni con le piccole grandi zavorre che ci si porta normalmente in borsa. Non è sempre facile, perché ci si mette di mezzo l'abitudine, le certezze ipotizzate, eppure c è qualcosa che mi spinge a pensare che urge di nuovo un cambiamento. Ma di quelli che, se non ti fanno tremare le gambe almeno un po', non sono giusti. 
C è da togliersi di dosso davvero, la polvere dell'inverno.

lunedì 13 giugno 2016

Considerazioni sparse...

Si dice che il cerchio magico fosse un posto in cui, se ci si poneva all'interno, si fosse al sicuro. Forse sarebbe tempo che, per lo meno di tanto in tanto, con talune persone, io imparassi a costruirmi un cerchio magico intorno. 
Ci sono meccanismi che ancora, nonostante l'età, io non ho ancora capito e non ho ancora fatto miei. E non so dire con sicurezza sia un bene o un male. 
Sono sempre stata dell'idea, ad esempio, che dovendo passare più tempo al lavoro che a casa, fosse bello creare un ambiente positivo, e sereno. Dove ci fossero dei buoni rapporti. Qualcosa che fosse sicuramente meno di un rapporto amichevole, certo, ma più del classico buongiorno/buonasera con cui ci si confronta per lo più in alcuni posti. E posso dire senza falsa modestia di essermi sempre impegnata per prima, perché questo avvenisse. Il portare la torta il lunedì di riunione, il rendere per quanto possibili partecipi i colleghi di quello che vivevo fuori. Non tutto, ovvio, ma ad esempio le mie fatiche "letterarie" chiamiamole così. Un modo per dire "non sono solo la segretaria con gli occhiali che risponde al telefono". 
Poi, sarà che mi confronto sostanzialmente con uomini. Sarà che mi confronto sostanzialmente con uomini per lo più con una vena di maschilismo piuttosto accesa e radicata. Ma sto valutando seriamente l ipotesi di gettare la spugna. Oggi hanno fatto i complimenti a R., e un regalo piuttosto costoso per il buon lavoro svolto nell'ultimo mese, ed è fuori discussione che sia stato bravo, che se lo meriti. Cosa che però, a me, dopo 8 anni di onorato servizio, non mi è mai stato fatto. Nemmeno un mazzo di fiori comprato dall'ambulante all'angolo della strada, nemmeno per il compleanno. Anzi, se un cliente fa presente la mia bravura, la cosa viene sminuita. 
Dovrei imparare a scindere molto le cose, gli ambienti, i rapporti. Io invece tendo ad essere sempre la stessa persona, con la stessa lealtà alla mano, indipendentemente da dove mi trovi. Ed è per questo che probabilmente poi ci resto male e rimango delusa. Perché ho questo modo di guardare oltre, che con certa gente non funziona. Non ne vale la pena. O forse mi faccio comprare con poco. Nel senso che poi do grande peso a gesti che, tutto sommato, non sono nemmeno così eclatanti, ma perché rivolti a me sembrano enormi. E non è sempre così. Dovrei imparare a prendermi quello che mi spetta. Né più né meno di quello che, semplicemente, mi spetta. Potrei inoltre smettere di pensare di poter cavare sangue dalle rape, a scindere davvero tempi e spazi. E magari, economizzare le energie, specie con chi, non si fa certo problemi ad economizzare le sue nei miei confronti. 



giovedì 9 giugno 2016

Al di là del muro...

Una delle cose che amo ripetermi, perché ci credo, è che: se non si prova non si sa. Non è un mantra che applichi a tutto, ci sono cose che non vale la pena di provare, non mi interessa provare e via discorrendo. Ma ci sono altre cose che ti lasciano lì perplessa, a fare i conti con il più classico del "vorrei non vorrei ma se vuoi". Ieri sera mi sono accorta che la mente andava in loop, piegata su se stessa e un pensiero del tutto sciocco se vogliamo, e che comunque non avrebbe dovuto occuparmi più di mezz'ora. Mi ci sono arrovellata tutto il giorno. Stamattina, in piena epifania, mi sono data una risposta, trovata la soluzione, e messa in opera. Pensiero archiviato in sei minuti e profonda soddisfazione. 
Ho la stessa sensazione quando scrivo qualcosa di buono. Se è un post mi dura poco, ma se è un racconto, ad esempio, su cui ho speso diverse ore ed energie, questo benessere mi si protrae per giorni. Mi piace. Benché sia la prima a dirmi che non mi capita così spesso. Soprattutto perché non lo faccio così spesso. Leggendo stamattina il post di un caro amico, mi sono accorta che mi entusiasmo molto per i lavoro altrui, per le idee altrui.
Meno per le mie.
Ci giocherello un po', come fanno i gatti con le palline di plastica, per alcuni momenti le trovo quasi divertenti. Poi le dimentico quasi annoiata. O forse, per meglio dire, poco convinta. Convivo con l idea che ci sia qualcuno che ha già "scritto diretto interpretato" meglio di me. Parafrasando il buon Fossati. 
La verità in realtà è un'altra. Fintanto che si scrive per sé stessi o in un blog fantasma, è come restare al sicuro dentro la propria confort zone.
Decidere di lasciare andare il proprio "bimbo di carta", come l ha chiamato ieri una cara amica, è accettare l idea che ti possano dire "no, non vale". O peggio "no, TU non vali". Del resto non sarebbe nemmeno la prima volta. 
E allora c è da chiedersi, è meglio restare nel limbo di un sogno coltivato, dove tutto ancora potrebbe essere ma di fatto non è, o correre il rischio di realizzarlo quel sogno. E scoprire cosa c è al di là di quel muro. Fosse anche una sconfitta, e l'idea di cercare un altro sogno da rincorrere? 

martedì 7 giugno 2016

Armi & Bagagli

Ieri sera ho fatto il "cambio borsa". Ho ragionato per giorni sull'idea di acquistare una borsa da viaggio per la Sardegna, una di quelle che posso tenere a tracolla e metterci dentro dall'asciugamano alla macchina fotografica. Alla fine, complice il rinnovo della patente e il suo costo da salasso, ho optato per rispolverare una vecchia borsa, acquistata qualche anno fa. Così l ho ripescata dal fondo dell'armadio e l ho "riarmata" per vedere l effetto che fa. Il cambio della borsa per una donna è un rito, è un passaggio mistico quasi quanto l'armadio di Narnia. Oggi valutavo che ho sistemato le cose con eccessivo ordine... e non mi piace. Il troppo ordine non fa per me. Di riflesso ho pensato ai biglietti del treno, freschi di stampa e appesi alla bacheca della cucina da stamattina. Tra 24 giorni torno nella mia Torino. Vado a riprendermela, a riprendermi il mio umore sereno e a dimenticare la città da cui sono scappata mesi fa. E poi ho pensato, che la mente di una donna è un po' come la sua borsa: un groviglio caotico di tutto il suo mondo, che ultimamente viaggiavo con il trolley. Elegante e grigio, con dentro quello che si chiamerebbero le "armi di seduzione" niente di particolare eh, solo quei capi di abbigliamento su cui si ragionava per giorni con le amiche, provando stile ed accostamenti, per voler dare il meglio. Il trolley mi ha abbandonata (anche lui) proprio quel giorno a Torino, e così stamattina ho pensato di rispolverare anche il mio vecchio Invicta, quello comprato appena tornata single e che pensavo mi avrebbe accompagnata nei miei viaggi in solitaria. Quelli che piacciono a  me, dove ti fermi a mangiare una macedonia seduta sotto la statua di Giordano Bruno. E così ho pensato che anche il contenuto si sarebbe adeguato al contenitore. Pensavo alle infradito e non ai tacchi, pensavo alla maglietta leggera e non alla camicia aderente. Pensavo. Pensavo che forse non si ha bisogno di armi, nei propri bagagli. Si ha più bisogno di speranze. Pensavo che piacere e piacersi e poi giocare fa bene, è stimolante. Ma anche sentirsi sé stessi senza combattere con le vesciche e altri dolori di varia origine e natura, non è male. Pensavo che ho voglia di muovermi e consumare quello zaino che sì, è stato usato ma appare ancora nuovo, e che se è pur vero che soldi non ce ne sono molti, posso sempre inventarmi delle valide alternative. Pensavo che sto imparando a viaggiare leggera. Anche rispetto alle persone. Che sto prendendo le distanze da chi assorbe energia senza regalartene a sua volta, che mi tengo stretta le mie scelte, anche quando sono discutibili, e mi sento in pace con me stessa. 
Assomiglio sempre più alla mia borsa caotica, alla mia agenda con tutte le graffette colorate a trattenere mille bigliettini, al mio zaino che ha voglia di ripartire, alla macchina fotografica che vuole scoprire la sensazione di una memory card piena, ai miei piedi finalmente scalzi, e ai miei capelli, che ogni volta che mi mancano e penso "adesso li faccio ricrescere" incontro chi mi dice "ma che bene che stai, hai tagliato via 10 anni". Insomma, forse sto iniziando ad assomigliare a me stessa.

martedì 24 maggio 2016

keep and calm...

Ritorno dopo appena qualche giorno, ed ho un decennio nuovo di zecca tra le mani. 
Mica da tutti i giorni. 
Tutti mi chiedono come mi sento, se sono tranquilla... spesso non attendono nemmeno risposta e mi rifilano un "massì dai, tanto è solo un numero" a quel punto butto l occhio ad uno specchio e mi chiedo se la lenta decadenza sia già cominciata e ancora non me ne sia accorta. In realtà sto bene. Gli acciacchi non sono aumentati di numero, della pasta per la dentiera posso fare ancora a meno, e tutto sommato la mia vita non è cambiata molto. O  meglio, continua nell'evoluzione iniziata un po' di tempo fa. A 36, 37 anni mi sentivo un pesce fuor d'acqua. Come se vedessi questo pericolo imminente di trovarmi a 40 anni, zitella, e senza prospettive. In realtà già affacciandomi ai 39 avevo fatto del "chissenefrega" il mio mantra pressoché quotidiano.  E su quel sentiero avanzo. E cammino leggera. Complice un taglio vertiginoso ai capelli, e all'idea che mi sono stancata di accompagnarmi a persone che non mi fanno sentire bene. Non vedo perché dovrei continuare a pagare un dazio come un debito di riconoscenza a persone a cui, tutto sommato,  non devo nulla. Posso dire che il mantra n.2 di questo nuovo decennio sia "prima io". Che il resto del mondo ha avuto 40 anni di tempo per scavalcarmi, spesso in malo modo. Non ho più voglia di prestare tempo e attenzione a cose che non mi interessano, a persone per cui non ho nessun interesse. Nei mesi dopo l incidente, vivevo molto sul carpe diem. Quando ti senti una miracolata, ti sembra che ogni giorno sia una nuova occasione. Ti meravigli davanti alle cose più semplici e respiri la vita con un altro ritmo. Poi questa cosa cambia. Certo, è quasi normale perché non puoi sopportare una tale tensione a lungo. Il punto è che poi ci si siede nuovamente nell'abitudine e del procrastinare a domani. Ecco, se c è qualcosa che mi piacerebbe cambiare è il recuperare quell'energia e voglia di "darmi da fare" con rinnovato stimolo. Avrei voglia di innamorarmi. Di quelle attenzioni inattese che ti fanno sorridere da sola in mezzo alla gente come un ebete. Di sentirmi davvero importante per qualcuno che non ne facesse mistero, e me lo dimostrasse senza troppi giri di parole. Avrei voglia di sentirmi dire "ti porto via questo fine settimana, andiamo...". Avrei voglia di coccole, di un peluche formato gigante, di un braccio intorno alle spalle o una carezza mentre dormo. Cose così. Ecco, queste mi piacerebbero. 
Di chi invece ha tanto da sparlare, posso fare pure a meno.  

martedì 17 maggio 2016

Caos & Disordine...

Ci sono cose che non ti spieghi. Non è che decidi di non spiegartele, è che proprio non ci riesci. Ci provi pure. Ti metti lì a tavolino ad analizzare tesi e antitesi, si fanno calcoli e preventivi. E non ci si arriva mai. Come quando facevo le equazioni di matematica, minimo tre volte, tre risultati diversi e sempre sbagliate. Ci deve essere sempre qualcosa che mi sfugge. E continua a sfuggirmi, magari trova una parentesi quadra aperta e via, l'incognita scappa fuori. E chi la piglia più quella. Corre. Sicuramente più di me.
Parentesi aperte e cuore soggetto a spifferi. L'aria entra ed esce e fa un po' quel che vuole, e lui, il cuore, se la ride. Uh hai voglia che se la ride. Pare che i riccioli d'aria gli facciano il solletico. E più ci penso, più la testa si incazza. Arriva giù tipo la sig.ra Rottermaier, inizia con chiudere parentesi tonde, quadrate e pure le graffe, così eleganti diciamocelo. Sbatte di qui e di lì e poi si ferma con i pugni chiusi sui fianchi e guarda quel monello che mica a smesso di ridere. Ci prova pure eh, signor giudice, glielo garantisco. Ma niente, gli è partito quella sorta di attacco... come si dice in italiano? in veneto diciamo "si è imborensà" è lì che ci prova, fa una faccia seria e... niente... scoppia a ridere di nuovo. Succede ogni volta. Alle volte basta con niente. Un apparizione speciale tra i commenti di facebook, o quel semplice pollice su, che ti fa pensare di non aver scritto proprio una cazzata... Una mezza parola buttata lì, a caso.... che poi forse a caso non è mai... ma a noi ci piacciono tanto le parole a caso, quelle dette per dire, che alle volte ci crediamo pure un po'. Basta sentire la voce dell'amica stacanovista che ti usa per fare una pausa, la gatta che salta sul letto e ti piglia a zampate il naso, la sveglia che non suona ma qualcuno che ti chiama, o una sera a commentare un film, su due divani a distanza, "come ai vecchi tempi". Che vecchi non sono mai, e ha voglia la Rottermaier a sbraitare che così non s ha da fare, non va bene è sbagliato e via discorrendo, che c ha ragione e lo so che ha ragione! Però non posso nemmeno mentirmi e non ammettere che ci sia una parte di me che sta lì e se la ride. E insomma, gli anni passano, ma visionaria e casinista lo resto comunque. 

giovedì 5 maggio 2016

Di Morghi, di sensi di colpa, di code e sorrisi...

Qualcuno un giorno ha detto che il dolore si muove a onde.
Ci sono momenti in cui ti coglie, così a tradimento. Colpisce alle spalle. Specie la sera, quando si è più stanchi, le difese abbassate. Quando il buio diventa sinonimo di ansia e paura.
Quando ti scopri a ridere. E poi ti senti in colpa perché non vorresti pensare di aver dimenticato troppo in fretta. Ma non hai dimenticato. Semplicemente hai ancora vita intorno, e quando la Melli ti schiaffa la coda in faccia mentre cerchi di fotografarla, non riesci a scoppiare a ridere come una scema.
Il dolore ha un metro di misura? è una bilancia che pesa l'amore investito? O forse anche smettere di soffrire, e lasciare andare è un modo di amare? si lascia andare il dolore, si trattengono nel cuore i bei ricordi, quelli che fanno sorridere con nostalgia. Non ci si preoccupa di far scorrere le lacrime, quando vengono. Ma forse colpevolizzarsi perché si guarda avanti è sbagliato. Ho un bruttissimo livido al ginocchio gigio. Uno scontro semi frontale con il carrello della spesa pilotato da mamma. La botta cambia colore ogni giorno, e finirà per sparire. Il dolore dell'anima credo funzioni nello stesso modo. Cambia colore un po' ogni giorno. Non significa che faccia meno male, non significa dimenticare. Significa, forse, imparare a convivere con un cambiamento. Forse dovrei semplicemente smettere di richiamare alla mente i momenti in cui l'accarezzavo per l'ultima volta, e riprendermi e tenermi stretti tutti in momenti in cui l'accarezzavo fino a farmi mordere per gioco. Forse è questo il vero passo avanti. Svestire i panni del lutto, smettere di dirsi che si sarebbe potuto fare diversamente, perché se fosse vero, lo si sarebbe fatto, e credere che l'aver agito di pancia sia stata la scelta migliore perché quella dettata dall'istinto. Accarezzare foto e sorrisi, lasciarsi cullare dalla malinconia quando si penserà ancora di vederla dormire nel letto e lì non ci sarà. Ma continuare a vivere, ridere e sorridere. Perché se è vero che i gatti hanno nove vite, allora vuol dire che Morgana ha solo cambiato dimensione, ma si sta godendo altrove, la sua seconda. Praticamente, è ancora una pupetta...

martedì 3 maggio 2016

Morgana

E' arrivata una sera di fine maggio. E non ha avuto certo una grande accoglienza. Il buzzurro che ospitava sua madre voleva prendere lei e il fratellino, metterli in un sacchetto e annegarli nel canale vicino. 
"Tu prova solo a pensarlo, e io ti faccio trovare i Carabinieri fuori di casa. Tu li fai svezzare e poi me li dai". 
Sotto la minaccia dell'incursione dell'Arma, i due cuccioli sono stati svezzati. Il maschietto è stato poi adottato, lei invece è arrivata da me. L'idea era di trovarle una famiglia, ma a luglio ti senti rispondere cose tipo "io lo voglio cucciolo, ma a settembre quando torno dal mare". Così quello che doveva essere uno stallo è diventato "casa" e Morgana è rimasta con noi quasi 12 anni. Lo scricciolino che si addormentò in braccio a mia mamma troppe estati fa, era diventato una gattona di 10 kg e un caratterino tutto pepe. Pigrotta e furba, vantava origini norvegesi, ma lo faceva con molta umiltà. Occhioni verdi e vispi, adoravo pastrafugnarle le orecchie, fino a quando un virus non c ha costretto ad operargliene una. La prima notte passata fuori casa, quando l'ho dovuta lasciare dal veterinario per l'intervento. La seconda notte ieri. Quando l'ho avvolta in un asciugamano e l'ho portata in quel posto dove... e non mi riesce di scriverlo. 
Ho sempre cercato di proteggerla, prendermi cura di lei, da quel maggio prima ancora di sapere come fosse il suo musino, fino a ieri, che ho dovuto portarla in quel posto, che continuavo a stropicciarle le orecchie, quasi mi aspettassi si svegliasse e mi dicesse in malo modo di lasciarla in pace. Ma non s è svegliata.
Ed è stata una doccia fredda, terribile ed inaspettata. Pacifica come sempre se ne va a dormire, e non si sveglia più. Ha deciso tutto da sola, con la tipica indole indipendente felina. E ancora mi viene voglia di prendere a morsi quel nasino rosa, e le zampotte fonfe. 
Stamattina ho focalizzato un immagine, lei e Papà seduti su una nuvola lassù da qualche parte, con Papà che legge il giornale e intanto le fa due grattini sulla testa. E lei ricomincia a ronfare. Ed è la sola immagine capace di farmi smettere di piangere. 

giovedì 28 aprile 2016

riflessioni

Avere il cuore suddiviso in frammenti, non significa necessariamente avere il cuore spezzato. Anzi. 
Ho sempre detto di avere frammenti di cuore in terra sabauda. E due sono particolarmente grandi. Sono quelli che, pur condividendo lo stesso cielo, conoscendosi per il "sentito dire", hanno una sola cosa in comune: me. O forse no, in comune hanno il fatto di essere dannatamente importanti, per me. 
Mia Sorella, e l'Altra S. Facce diverse di un solo sentimento, che oggi si sono guardate, anche se solo per qualche secondo, negli occhi. Due mondi divisi che hanno girato entrambi per la stessa orbita, e che hanno permesso a me di dipingermi addosso un sorriso, quello un po' beffardo di un piano ben riuscito! Anche se non è stato semplice, che senza di lui poco avrei potuto fare. E lui ha fatto tanto. Anzi, ha fatto ciò che in famiglia si fa. Lei soffre, io chiedo aiuto, e Lui agisce. 
E così, come dice LauraLaGnocca, oggi è la giornata degli hip hip urrà. Perché ci sono margherite simpatiche, ci sono respiri finalmente sereni, ci sono altre attese nell'aria ma solo per cose belle. E allora mi godo questo momento, che ancora mi pare strano, ma che mi piace tanto. E sono felice. 
Ecco. 

e questa è per Voi due Sempre e per Sempre. De Gregori. 


martedì 26 aprile 2016

booh!

Fa freddo. 
Manca solo Bublè in radio e poi potrei cominciare a pensare ai regali di Natale. E no, non esagero. Sembra una di quelle giornate terse, invernali, dove ti dà l idea di qualcosa di primaverile (il sole) ma la temperatura ti ricorda chiaramente che l inverno è ancora qui e la merla è sempre in attesa dei suoi giorni. 
E poi sembra lunedì. Che lo so che è martedì, ma data la quantità di rogne e di musi lunghi sembra ancora lunedì mattina all alba. 
Insomma, per ora non è una gran giornata. Ho qualche pensiero a residuo, frutto del fine settimana. Pensieri che ancora non si sono completamente delineati, o che forse lo sono ma io non sono ancora pronta a leggerli per quello che sono. O, forse ancora, una parte di me si chiede: e una volta che li hai identificati, cosa cambia?
Ieri guardavo il secondo film della giornata, e ad un certo punto uno diceva "se tu liberassi la testa dalle tue ossessioni, ci sarebbe così tanto spazio vuoto che l'universo troverebbe la porta aperta e vi entrerebbe, Dio vi entrerebbe". Indipendentemente dal concetto di spiritualità di ognuno, il concetto di fondo è che si passa il tempo ad arrovellarsi su cose. Il più delle volte legate al passato. Trovo però farlocca l idea di poter dire "vivo non più del quotidiano" perché è farlocco. E non serve stia qui a spiegare il perché. 
Mah. Sarà che fa freddo. Che ho le mani gelate e non ho nemmeno più le mie sciccose unghie laccate. Sarà che manca ancora un'ora alla pausa pranzo e Brontolo è già nervosetto e io ho poca voglia di farmi influenzare dalle sue nevrosi. 
Sarà... 
ma che strano post... 

martedì 19 aprile 2016

Nostalgia...

La nostalgia è la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare.
(cit.)

Mi prende a tradimento. Quando abbasso la guardia, quando sono in astinenza da caffeina e da abbracci. Mi prende quando la ragione cede il passo a quella parte del cuore vagamente rintronata e rincoglionita che ancora si cincischia con l'unghia appuntita quell'angolino giù in fondo.
Mi prende quando Mari mi scrive che è triste, quando Pat mi fa ridere, la domenica mattina, fino alle lacrime. Quando l'Altra S. si stiracchia, lì in coda nel traffico della mattina. 
Mi prende ogni volta che provo a fare e rifare i conti e mi accorgo che non posso, e non ce la faccio. Sicuramente non a breve. E ogni cosa si dilata nel tempo più lungo e divento insofferente, io che amerei il tutto subito e adesso. 
Mi prende quando ripenso che l'ultima volta mi ha vista quasi scappare, con un trolley rotto e l anima a pezzi. Mi prende quando vedo una foto, un guizzo di colore, il profilo della Mole e un albero fiorito. Mi prende quando guardo il calendario, quando mi accorgo di un giorno di vacanza inatteso, quando passo sopra il cavalcavia della stazione e c è un treno fermo in attesa, al binario 3. 
Mi prende così. A tradimento. E mi resta addosso, intrecciata a qualche filo invisibile, intorno alla gola. 

martedì 12 aprile 2016

Happy!

Vi ricordate quel fumetto di Snoopy in cui, credo fosse Charlie Brown diceva che la felicità è il singhiozzo dopo che è passato?
Ecco, anche il primo giorno senza emicrania o periartrite alla spalla, non è affatto male. 
Ti fa notare il sole, l'aria profumata di primavera, le margheritine e i pelucchi dei pioppi come nevicasse. Ma tu te ne freghi, perché non ti sei imbottita di voltaren o triptano già dal mattino, a seconda della necessità. Non sei lì tutta presa dallo stare ferma perché se ti muovi ti vengono i dolori, non lotti con un martello pneumatico nel cervello e intanto devi sorridere simpatica ai clienti. Finalmente hai la forza di truccarti pure un po', toglierti la cera da mozzarella di bufala scaduta dalla faccia, e cantare a squarciagola una canzone di Gianni Togni mentre vai in ufficio. 
Insomma. Sono giorni in cui puoi fare pace con il mondo. 

mercoledì 6 aprile 2016

Post delle 11.01

Ho sempre pensato che quando inizi a riderci sopra, ad un fatto o ad una situazione che ti hanno ferita, si sia a buon punto per la guarigione. Un po' come quando le croste dei tagli iniziano a prudere facendo quasi solletico. "E' la pelle nuova che cresce sotto" diceva mia madre quando ero piccola. Se ridi sopra ad un dolore, deve essere il cuore sotto che si rigenera.
Stamattina, la mia amica Pat e io abbiamo avuto uno scambio di qualche battuta condite con stricnina e arsenico. E ce le siamo godute sogghignando bellamente. Il bersaglio della nostra ironia era "lui", oggetto del mio disamore. Ma poi non mi sono sentita in colpa, come spesso mi accade. Non mi sono sentita mortificata, perché in fondo due mesi fa ero davanti al Santo a ringraziare di averlo fatto uscire vivo da un incidente... E ora non gli tiro frecciate, ma direttamente tutto l'arco. 
Intorno alle 10.29 ho focalizzato questo pensiero: il disamore denuda. Spoglia l'oggetto del desiderio di quella luce irradiante di benevolenza, e gli punta un faro contro. O meglio, una luce pari al classico neon dei camerini dell'OVS, quelli che ti fanno vedere implacabilmente ogni più piccolo difetto, elevandolo alla massima potenza. 
Il punto è che quei difetti ci sono sempre. Sotto i jeans, nascosti da una maglia più larga. Quello che cambia è il punto di vista, l illuminazione e quanto peso si voglia dare ai suddetti. L'amore ammorbidisce la luce, la rende tenera e soffusa, copre come una sciarpa di seta sull'abajur le note più faticose. Regala riflessi caldi e morbidi. Il disamore è un neon 6000°k che ti sparano addosso una luce azzurrina e gelida. E non ti lascia scampo. 
Ma come può? un momento sei lì a ringraziare L'Eterno perché lui c è, esiste e fa parte della tua vita, e dopo un po' di tempo puoi riderne come si ride del collega rintronato. Allora non era amore? Era solo una proiezione della tua testa, era un'infatuazione, nulla di importante? Eppure giureresti che avresti potuto fare carte false, possibile fosse solo fantasia? 
O piuttosto, per tornare ad una metafora tanto cara alla zia Ester, anche la più bella e forte delle piante se resta senz'acqua, secca? Probabilmente è andata proprio così. Guardo l'orchidea che ho sulla scrivania, e poco per volta ha lasciato cadere i fiori, mi sono accorta che la morfologia del vaso non le permetteva di bere come aveva bisogno, e anche le foglie ne hanno risentito. Ma le radici sono ancora belle verdi, e se provo a spostare un po' il terriccio legnoso, c è anche un timido germoglio. 

lunedì 4 aprile 2016

Fotografie, piccole spie, pericolose... (cit.)

Ci sono "foto" e "foto".
Foto che ti arrivano, istanti regalati e condivisi che non tengono conto della distanza. Foto di attimi, di luoghi amati. Di momenti vincenti, di respiri di sollievo, di eventi indimenticabili, attesi sognati sperati, ma soprattutto voluti, voluti con forza e determinazione. E ora lì, presenti a manciate, tutte da vivere. Da fermare, in un clic che dice "ecco, c eri anche tu, in qualche modo, t ho portato con me". 
Ci sono foto che viaggiano in sordina. 
Quelle in cui inciampi. E lo sai, un po' come quando si sa che c è il gradino in quel posto, c è da anni, ma all'ultimo ti tradisce lo stesso. Un po' non le vorresti vedere, passare oltre. Un po' vuoi vedere, renderti conto, "sentire l'effetto che fa". 
Sono come le ultime battute di uno spettacolo teatrale più simile ad una farsa. Dove in fondo ad ogni battuta c è forse un fondo di verità, ma alla fine restano comunque battute, imparate a memoria da chi recita una parte, ed è capace di innumerevoli repliche. Lo sguardo dell'attore che pensi si posi su di te,  e parli direttamente alla tua anima, è frutto di studio e preparazione. Incrocia il tuo sguardo, ma potrebbe essere uguale ad altri mille, e non se ne accorgerebbe, perché preso dai propri gesti, dal battere del tempo, il giusto attacco della musica, ma soprattutto, quell'occhio di bue luminoso puntato su se stesso, al centro della scena. Vede tutti, ma non "sente" nessuno. 
Ma il bello di queste foto, è che ti regalano una rivelazione: quando ti dicevano "ci sarà un momento, in cui guarderai e non sentirai più nulla" e tu pensavi non fosse vero, che fosse solo per rassicurarti, un po' come si fa con i bambini quando gli si soffia sulla sbucciatura.
E invece no! C'è proprio un momento, diverso per ognuno, in cui guardi immagini e volti, e non senti nulla. 
Non provi nulla.
Un po' come quella parte della mia gamba dove hanno dovuto recidere il nervo. Sento poco nulla, forse un po' di fastidioso prurito alle volte, proprio sopra la cicatrice, quella sì resta. Ma nella maggioranza dei giorni te la dimentichi, e non ci badi più. 
Quando capisci, finalmente, quel gioco di sguardi non era autentico, non ci cadi più. Una volta capito il tempo della recitazione, delle assidue prove, i retroscena di un'interminabile monologo, la storia perde di pathos.
E spesso, l'unica cosa che resta, non è nemmeno una foto. Bensì una locandina che andrà ad ingiallirsi con il tempo, in fondo ad un cassetto. 

venerdì 1 aprile 2016

Mes Amies

Una delle tante cose belle delle Amiche è che ci sono. Non solo nelle situazioni di emergenza, ci sono sempre. Dal momento in cui lo stronzo di turno ti scarica in stazione al deposito bagagli, a quando metti in ordine l armadio e ti accorgi che alla fine della fiera non è rimasto molto da metterti e urge lo shopping compulsivo. Sono lì a ricordarti che non sei il caso clinico che ogni tanto (spesso) ritieni di essere, e che devi sempre e comunque fare dei passi avanti per la tua crescita personale, anche questo significa smettere di rispondere allo stronzo di cui sopra, che comunque ignaro dello status quo acquisito, ti scrive del più e del meno della sua vita (che della tua non è che si interessi molto).  Le amiche sono lì e sono le prime a risponderti affermativamente quando scrivi loro "se faccio sta cosa, per favore prendimi a mazzate". Perché quando c è da prendere a mazzate in fronte sono sempre disponibili. Poi sono quelle che però ti passano anche il ghiaccio da mettere sopra al bernoccolo. Sono le persone che per te hanno pareri e punti di vista, mai giudizi. Sono quelle che ti fanno una battuta e sanno farti ridere anche tra le lacrime. Sono quelle che ti mandano l'ecografia della loro Nocciolina, quasi in tempo reale.  
Sono quelle a cui confido in questo periodo. E che mi fanno sentire bene. 

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...