lunedì 19 aprile 2021

Respiro.

 Post senza foto, sono sicura che almeno una la riconoscerete solo per descrizione. 

Dell'ultimo anno ci sono due immagini, che su tutte, mi si sono tatuate tra i pensieri.
Il messaggio scritto la mattina presto del  15 maggio a una persona a cui voglio molto bene: "Ti prego, dimmi che è una fake" e la sua risposta: "No". 

E quella carovana di camion dell'esercito che partiva da Bergamo con chi, contro il Covid, non ce l'aveva fatta. 

In quel momento, quella che era paura è diventata angoscia. Non per me, ma per quel che poteva succedere a MammaSys. L'idea potesse andare in ospedale da sola, l'idea di non poterle essere accanto a sostenerla e, sopra a tutto, il dolore spezzante di perderla e non sapere nulla, non poterla salutare, e il vuoto immediatamente successivo. E lo so com'è, non solo perché è la sorte toccata al padre di una mia cara Amica.

Trent'anni fa ho visto mio padre salire in ambulanza, lo salutavo dalla finestra ma lui non mi vedeva, stordito dal dolore. Se recupero quella foto dalla memoria, il fermo immagine è sul suo voto scavato.
È stata l'ultima volta che ho incrociato i suoi occhi..
E quindi so: so cosa significa vedere l'amore della tua vita andare via, e non tornare più. Non sapere, non avere il tempo di salutare, di dire, di accarezzare un'ultima volta.
So quanto lacerante può essere il distacco, un colpo di velcro strappato dall'anima di cattiveria. È un dolore sordo, come uno stantuffo nelle orecchie che non ti abbandona mai. Puoi lenirlo, metterlo a tacere, soffocarlo mettendoci sopra cenere, ma il fuoco sotto resta.
L'idea di poterlo rivivere con mamma mi ha limitato il respiro per tutto questo tempo. L'ho tediata con le raccomandazioni ogni volta che usciva, e non meno quando eravamo insieme e controllavo ogni cosa toccasse, e avevo lo spray disinfettante sempre in tasca, e lo so che mi avrà odiata, avrà pensato che fossi la mammafiglia più rompicoglioni dell'Universo e sono capitata proprio a lei. 

Ma sabato le ero accanto quando l'hanno vaccinata.
Le tenevo la mano sulla spalla, con i lucciconi scemi agli occhi e la dottoressa che mi guardava con un sorriso indecisa se sorridere a sua volta della mia commozione, o comprendere empatica. 

MammaSys è stata vaccinata.
E io, ve lo dico di cuore, mi sento come mi avessero restituito un anno di vita sospesa, come mi avessero spostato il burrone da sotto i piedi. Parte della stanchezza che mi porto addosso sembra diventata più leggera. 

Ora posso ricominciare a immaginare un domani.

domenica 11 aprile 2021

Due anni fa... La Mossa del gatto

 
Due anni fa debuttava, in libreria, La mossa del gatto. 

Aspettavo arrivasse l'ora di prendere il treno per Torino, aspettavo di poter stringere tra le mani quell'insieme di pagine così dannatamente volute, desiderate, odiate anche, ma alla fine stampate e rilegate a reggere i fili della mia storia. 

Aspettavo di gioire con gli amici di sempre, e scoprire di essere accolta a braccia aperte anche dai nuovi. Ogni libro nasconde storie parallele al romanzo che racconta, La Mossa potrebbe raccontarne almeno altre tre. Ho vissuto giorni strappati a un universo parallelo, ho rincorso treni presi al volo, parole sparse e stretto mani: alcune sono sono rimaste, altre le ho perse. Mi sembra di aver vissuto almeno altre sei vite nel frattempo. E non credo dipenda solo dal fatto che nella mia testa oltre a Syssa, con cui convivo ormai da più di una quarantina d'anni, si sia aggiunta Cloe con il suo carico di paturnie. Con l'uscita del libro ho costruito un mondo che in parte è stato abbattuto da una bufera. E così come ho costruito una seconda storia: Controcanto, ho dovuto mettermi a tavolino e ricominciare da me stessa. E questa volta ho attraversato un terremoto. 
Ora che ci penso, anche per Controcanto si avvicina l'anniversario: guardo a lui con la stessa tenerezza con cui si osserva qualcosa che non ha avuto il tempo di sbocciare. Non ha vissuto nemmeno un cambio di stagione. Eppure di lui mi resta il violino, il pizzicato... la musica di Ezio. 

Mi mancano le presentazioni, l'incontro con le persone, le emozioni dei giorni prima, dei momenti prima quando ti scappa la pipì ogni cinque minuti e non ti decidi a uscire. Mi manca il biglietto del treno, la destinazione, la data segnata sul calendario, le risate con le amiche sul cosa mettersi addosso che poi nelle foto vengo sempre di merda, che ci vuoi fare.
Mi mancano le persone che mi raccontano di essersi ritrovate nelle parole, di aver riso con me anche in giorni in cui ridere era faticoso. Mi piace scoprire che quella scena che ho rivisto mille volte nella testa, in alcuni è arrivata diversa nelle sfumature. 
Mi manca il sentirmi amata, voluta e desiderata da qualcuno che respiri con me. Anche se ora, rispetto a uno o due anni fa, sono meno fragile, meno ingenua, meno accomodante.
Che le ferite fanno crescere, le cicatrici induriscono ma l'esperienza insegna, soprattutto a non accontentarsi più. 

Mi muovo in questa domenica uggiosa con un misto di malinconia che Souvenir de Florance va a lenire. Mi consolo pensando che il viaggio non è finito, sto vivendo un tempo sospeso in cui il terreno seminato va accudito, ma trattiene già la promessa di un nuovo raccolto. E allora vado, perché ho un file da completare e spedire: c'è un domani da costruire...

Perché domani non dovremo ricostruire
Ma costruire e costruendo sognare
Perché rinascere vuole dire costruire
Insieme uno per uno
Adesso però state a casa pensando a domani

E costruire è bellissimo
Il gioco più bello
Cominciamo...

(Ezio Bosso)


On Air: Tchaikowsky Souvenir de florence op 70 / 3.Allegretto moderato-Sestetto Stradivari


In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...