domenica 21 marzo 2021

Ma com'è?

 

Foto di David Romano
Ma com'è quando giri l'ultima pagina e sai che sta per venire giù tutto? 

Com'è, eh?
Quando hai trascorso mesi a rincorrere note. E le dita sembravano non avere mai abbastanza fiato, non essere mai così veloci da raggiungerle.
Rabbia e frustrazione strette in a pugno e poi testa bassa e ricominciare. 

Arreso, hai smesso di inseguire e ti sei lasciato condurre da lei, come un amante quando chiude gli occhi e lascia fare. Solo allora quel passaggio estenuante è scivolato tra le dita come una ciocca di capelli e un respiro sommesso. 
Non meno faticoso.
Certo.
Ma il pubblico non lo sa.
La musica trasfigura fatica e dolore, giunge in platea come pura emozione assorbita da vite silenziose e attento, ma per lo più ignare.
La ribalta erige un muro sottile e invisibile, attraverso il quale la musica filtra in tutta la sua potenza. Al contempo trattiene sudore e stanchezza. E cazzo, pure quell'errore minimo e madornale percepito solo da te.
E dal direttore.
Solo un istante, uno scambio di sguardi ed era già scivolato via già oltre schiacciato sotto il peso di quell'ultima pagina che aspetti di voltare in un crescendo di intensità che se solo Dio volesse toglierti un battito di cuore in quel momento nemmeno te ne accorgeresti.
Non prima di vedere la bacchetta cristallizzata nell'ultimo movimento e sospesa, avvolta nel silenzio che è esso stesso musica.

L'applauso.
Annienta e brucia le ore passate a studiare, a ripetere: “Da capo, dovete sentirlo”,  ad incazzarsi pensare di mollare e invece ricominciare, ancora, fino a farsi male.
Che di mollare non se ne parla, che in quegli spartiti c'è tutta la tua vita.  

Com'è? 

La solitudine, i non posso a chi ti chiedeva di uscire e poi ha smesso; gli abbracci negati e il vuoto di una stanza troppo spesso non compresi. 
L'essere cosciente di vivere un tempo dilatato che però non appartiene e quindi, non puoi spendere.
Ma il pubblico pagante non lo sa quanto ti manca, alle volte, il calore di una fronte in quel tratto di pelle tra collo e spalla, quel tocco capace di risanare la più profonda delle ferite e placare quella tormenta che non ti abbandona mai. 

Com'è?

Quando si spengono le luci e ti avvii, solo, verso casa e l'unica cosa che vorresti in quel momento è ricominciare a suonare?


On Air: Prima lettura di Rain Villa Pennisi in Musica.

domenica 7 marzo 2021

Ma cosa vuoi saperne tu?


 "Ma cosa vuoi saperne tu? Che non hai figli, quindi non puoi capire". 
Me lo sono sentita dire così tante volte, negli ultimi vent'anni, da non farci più caso. Anzi, molte volte in determinati discorsi, lo anticipavo io, così da togliermi subito di mezzo il problema. Poi ho smesso proprio di intervenire o dire la mia su determinati argomenti, a ragion veduta soprattutto. Mettiamo ad esempio questo "tempo sospeso": come posso sapere io le razioni dei pargoli, qualsivoglia età si dica, davanti ad una pandemia mondiale. Le abitudini stravolte dalla mancanza di contatto, dall'impossibilità di vedere i nonni, la DAD, e le interrogazioni senza nessuno che suggerisca dal primo banco o dall'ultimo con l'alfabeto dei segni. Il mantenere le distanze, e chissà che pensa il tipo figo della 5°C, è dall'anno scorso che non lo vedo... magari si è messo con quella stronza della 4°A... vai tu a sapere. 

"Cosa ne vuoi sapere tu, che allevi gatti" e qui ci si potrebbe aprire un altro capitolo a parte, e tra gattare e non, una guerra che non finirebbe più. Ad ogni modo sia chiaro che pure i gatti vanno curati, accuditi, capiti e interpretati (vorrei notaste la mancanza della d eufonica: mi sto sforzando), il tutto in una lingua che non è la nostra. Insomma, indipendenti sì, ma solo sulla carta. 

Il punto è, che molti non sanno che c'è un'altra categoria di "mamme". Quelle che fanno da madre ai propri genitori, specie se vedovi. Ad esempio ho una cara amica che lo fa a suo padre, con il pensiero in più di non averlo "vicino di casa", e spesso ci scriviamo messaggi di reciproca comprensione. 

Il genitore "superstite" è una persona sola, che inevitabilmente invecchia. 
Con tutto ciò che ne consegue. 
Mia madre dice spesso alle sua amiche di avere una madre abbastanza rompicoglioni. E si riferisce a me. Con tutto che ci amiamo tantissimo, ma proprio per quello mi rendo conto che, spesso, le dico cose che lei diceva a me quando ero piccola... mi ritrovo a prendermi cura di lei come se fosse, ora, lei la piccola. 
E devo fare i conti con il fatto che la mia roccia, quella che è riuscita a tenere insieme tutti i pezzi quando la famiglia ha subìto il più grande degli schianti, quella che nonostante il menefreghismo di alcuni famigliari è sempre riuscita a mettere insieme un pranzo con la cena, ora sia fragile. Con le sue paure, le sue ansie, e la disperazione che la coglie a ondate come la marea, per la malattia che l'ha colpita, quando magari si pensava potesse stare un po' più tranquilla finalmente. 
E allora ti ritrovi a prendere in mano la situazione: io posso contare anche sull'aiuto di mio fratello grazieazeus, perché il potere del figlio maschio esigerebbe un discorso a sé. 
Ma dicevo, prendi in mano la situazione e provi, nel tuo piccolo, a sgravarla di tutto quanto è il peggio. Vorresti toglierle il dolore e lo smarrimento di dosso, ma non puoi e allora cerchi di tamponare con il cotone la maggior parte degli spigoli che le si parano davanti, cercando di capire le sue esigenze, spesso anteponendole alle proprie, e a far quadrare anche il più ostico dei cerchi. 
Insomma: come una madre metti il suo benessere anche davanti al tuo, e soffri dei suoi stessi dolori, e vigili, accompagni, spieghi. Stringi le mani e consoli. Alle volte rischi e abbracci, perché di abbracci c'è bisogno. E così le giornate sono scandite da "copriti se esci, che stamattina è più fresco di ieri; usa il bastone; hai preso la medicina? devo andare al super, ti serve qualcosa? hai dormito stanotte? no? che succede? Ti vengo a regolare il termostato della caldaia".
O nel controllare con fare indifferente i tempi di risposta ai messaggi, perché se è vero che è diventata bravissima con lo smartphone, è altresì vero che se dovesse per qualche motivo andare in palla, non saprebbe come fare a chiamare e avvertirti... 
E il tutto non lo fai per una creatura che sì, al momento è indifesa ma che stai crescendo perché un giorno sia capace di prendere il volo, con le ali solide che ha costruito con te. 
Lo fai per una persona che ami alla follia, ma che ha vissuto sicuramente più di quanto non gli resti da vivere. 

E quando, da figlia, focalizzi questo pensiero vi garantisco che lo stomaco si attorciglia in doppio carpiato attorno alla spina dorsale, e devi fartela passare perché magari lei non ci vede, ma lo sente quando il tono di voce cambia. Anche se sta assaporando un tramezzino che avete ordinato, prima di entrare dal medico manco fossero spaghetti alla bottarga, e ti dice: "ma sai che questo intramezzo è piacevole, era tanto che non si mangiava fuori". 

Insomma, alla fine questo puntualizzarmi addosso ha ricominciato a darmi un fastidio quasi epidermico. Per cui: se proprio vi venisse spontaneo dirmi che, data l'improduttività del mio utero, non sono in grado di comprendere certe dinamiche, fatevi due conti prima: nei ristori dell'ultimo DPCM  pare che le spese odontoiatriche, non siano contemplate. 

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...