lunedì 7 novembre 2022

Jean Claude Izzo

 

Se è vero che c'è tempo e modo per ogni cosa, questo detto vale anche per i libri, almeno per me. 
Me ne hanno parlato in molti, in diversi periodi della vita, ma non mi ero mai decisa a leggerlo, perché? Non lo so. Ma passavo dritto pensando ad altro. 
Poi una giornata a Roma, l'idea di farmi un regalo, un messaggio che arriva al momento giusto e dei tarocchi che, un po', ti fanno pensare. E tra storia, sentimenti e un pizzico di magia scatta la scintilla e Izzo torna a Padova con me. 
Non sono una persona che legge in fretta. I libri li tormento: leggo, torno indietro, sottolineo, e sì, faccio anche le orecchie alla pagina. Perché un libro è come un amante: lo devi vivere, respirare, mordere se ti viene voglia. Come dice Fabio: si deve amare accettando il rischio di perdere, e il rischio di perdere non passa per una vita dalle pagine intonse. 
Frasi tagliate con il bisturi. Una Marsiglia dai toni freddi e colori cupi stesa al sole violento del Mediterraneo. 

Parlando con lui, raccontandogli le mie sensazioni, ho detto che le pagine di Izzo mi ricordano le tele di Caravaggio. Il buio, profondo angosciante spezzato da tagli di luce che accecano. Lo stesso tormento. 
Fabio Montale è un uomo che prenderesti per le spalle, lo scuoteresti con forza per togliergli di dosso quel rimpianto in cui annega mescolandolo al whisky. Ma è impossibile non amarlo. Impossibile non trovare nei suoi occhi la stessa lama di luce del pittore milanese. Nonostante la morte lo perseguiti rincorre l'amore e tutta la sua forza travolgente, anche se è un artista nel lasciarselo sfuggire dalle dita. 
Lui e il suo chiodo fisso. Lole. 
Leggere Izzo è faticoso nei primi 30 secondi, poi prendi il ritmo e ti rapisce ti trascina con sé tra i profumi delle erbe e delle spezie di una realtà multietnica e tormentata. Nello schifo e nella morte dove ci si trova a muoversi con il fango alle ginocchia e le mani imbrattate di sangue. 

L'idea era quella di leggerlo, di assaporarlo pian piano, studiandone le sfumature. Non ci sono riuscita. Ho finito la trilogia in due settimane, vissute con un'intensità che non ricordavo, soffrendo ad ogni colpo di pistola o ferita da taglio. Ho sperato che la vertigine cambiasse, man mano che leggevo ma pare che la vita si faccia gli affari suoi anche nei romanzi. Non bada a noi lettori. 

Mi sento improvvisamente sola. 
Come se un amico fosse partito senza salutare, se ne fosse andato distante lasciandosi alle spalle solo il silenzio di una scelta non contrastabile. Chiudere l'ultima pagina e sentire violenta, alla bocca dello stomaco, la sensazione di perdita. 
Questo è Scrivere. 

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...