martedì 28 giugno 2016

Di aria condizionata & zenzero...

Non mi piace l'aria condizionata. Trovo sgradevole già il nome. Perché condizionare l'aria? E poi mi costringe a tenere la porta dell'ufficio o le finestre di casa chiuse. In giornate come questa, di sole e brezza fresca tenere la porta chiusa è un delitto. E poi mi manca l'aria. Appunto. 
Guardo la settimana che si assottiglia e aspetto solo di partire. Dire che non vedo l'ora è un eufemismo, già guidando verso la stazione, alle prime luci dell'alba tutta la mia chimica cambierà, ma in questi giorni l'attesa sembra dilatare i singoli minuti trasformandoli. E poi tanto lo so che, da quando mi alzerò prima del sole per prendere il treno, a quando lo riprenderò lasciandomi il tramonto alle spalle, ci sarà solo il tempo di un soffio.
Nel frattempo cerco di sopravvivere: ai nani, alla gente di passaggio, alle rogne che si dispiegano in ordine sparso facendomi passare dalla volante della polizia ad una stazione dei carabinieri. Alla rielaborazione di pensieri e parole che mi si affollano nella testa, spesso accavallandosi. Come accadeva un po' di tempo fa. Con la differenza che sono diventata più brava nell'organizzarmi e nel fare ordine. E' strano e, per certi versi, non ci credevo molto. In realtà succede che abbia le idee chiare su tante cose. Su chi mi gira intorno, sui rapporti che intrattengo... Ho letto da qualche parte che il cibo zen per eccellenza è la consapevolezza.
La consapevolezza ha un sapore strano. Non è affatto appetitosa, come si tenderebbe a pensare. E' a tratti piccante e brucia un po' la gola. Forse è un po' come lo zenzero. Che picca sul palato sulla lingua... ha un sapore amarognolo che non apprezzi subito anzi, sul momento storgi il naso. Ma poi ti lascia un sapore buono... e ti viene da dire "ma sai che..." e magari ne mangi un altro pezzettino, o bevi un altro sorso di tisana... e forse ti pizzica ancora... ma scopri che ti piace. Ma soprattutto, fa un gran bene. Ecco. La consapevolezza, sa di zenzero. 

lunedì 20 giugno 2016

Lo zen e l arte dello scazzo.

 I sintomi ci sono tutti. E ormai li riconosco. La pressione è quasi a livello, e io ho bisogno di staccare. Il fatto di aver rimosso mentalmente 8 giorni dal calendario ed essere convinta che il prossimo sabato fosse il 2 luglio è già di per sé abbastanza indicativo. E' sempre stato così, fin dai tempi delle superiori. Io di tanto in tanto devo prendere lo zaino e andare. Mi basta un giorno, anche due. Devo macinare chilometri, cambiare aria, uscire dai quattro muri che mi diventano pressanti e scoprirmi sotto un altro cielo. E allora ritorno in equilibrio, il mio limite di sopportazione torna ad essere alto e con lui anche la mia tolleranza. Potrei dire che torno serena. Senza scomodare la Felicità, che se la tira già di suo ed è difficile incontrarla, mi sento di dire che la serenità mi regala di per sé delle lenti di color rosa, e pure un po' sfumati. Quando arrivo a questi livelli, le lenti diventano trasparenti, chiare. E tutto estremamente nitido. Vedo le cose ben delineate, con contorni specifici e con l'illuminazione perfetta. In pratica divento scomoda. Dico cose scomode, il filtro del "vivi lascia vivere" va un po' a farsi friggere, fare spallucce non mi riesce più tanto semplice. Che poi me ne pento anche, perché alla fine, mica è la mia vita voglio dire. Ma niente da fare, ormai ho detto quello che penso. E la cosa drammatica è che riesco a dirlo esattamente come lo penso. 
Ho bisogno di partire, di staccare la spina. Guardo i giorni che mi separano dalla mia prima vera Vacanza con la V maiuscola, e resisto. Penso agli intervalli, agli intermezzi che vorrei provare a regalarmi per non arrivare in aeroporto modello pentola a pressione. Ci proverò. E nel frattempo? Nel frattempo ho tolto la porta della cucina. Era in più, se ne può fare a meno. Penso a cose frivole come il "voglio viaggiare leggera" e non lo penso rivolta solo al 2 luglio, ma vorrei provare a farlo tutti i giorni con le piccole grandi zavorre che ci si porta normalmente in borsa. Non è sempre facile, perché ci si mette di mezzo l'abitudine, le certezze ipotizzate, eppure c è qualcosa che mi spinge a pensare che urge di nuovo un cambiamento. Ma di quelli che, se non ti fanno tremare le gambe almeno un po', non sono giusti. 
C è da togliersi di dosso davvero, la polvere dell'inverno.

lunedì 13 giugno 2016

Considerazioni sparse...

Si dice che il cerchio magico fosse un posto in cui, se ci si poneva all'interno, si fosse al sicuro. Forse sarebbe tempo che, per lo meno di tanto in tanto, con talune persone, io imparassi a costruirmi un cerchio magico intorno. 
Ci sono meccanismi che ancora, nonostante l'età, io non ho ancora capito e non ho ancora fatto miei. E non so dire con sicurezza sia un bene o un male. 
Sono sempre stata dell'idea, ad esempio, che dovendo passare più tempo al lavoro che a casa, fosse bello creare un ambiente positivo, e sereno. Dove ci fossero dei buoni rapporti. Qualcosa che fosse sicuramente meno di un rapporto amichevole, certo, ma più del classico buongiorno/buonasera con cui ci si confronta per lo più in alcuni posti. E posso dire senza falsa modestia di essermi sempre impegnata per prima, perché questo avvenisse. Il portare la torta il lunedì di riunione, il rendere per quanto possibili partecipi i colleghi di quello che vivevo fuori. Non tutto, ovvio, ma ad esempio le mie fatiche "letterarie" chiamiamole così. Un modo per dire "non sono solo la segretaria con gli occhiali che risponde al telefono". 
Poi, sarà che mi confronto sostanzialmente con uomini. Sarà che mi confronto sostanzialmente con uomini per lo più con una vena di maschilismo piuttosto accesa e radicata. Ma sto valutando seriamente l ipotesi di gettare la spugna. Oggi hanno fatto i complimenti a R., e un regalo piuttosto costoso per il buon lavoro svolto nell'ultimo mese, ed è fuori discussione che sia stato bravo, che se lo meriti. Cosa che però, a me, dopo 8 anni di onorato servizio, non mi è mai stato fatto. Nemmeno un mazzo di fiori comprato dall'ambulante all'angolo della strada, nemmeno per il compleanno. Anzi, se un cliente fa presente la mia bravura, la cosa viene sminuita. 
Dovrei imparare a scindere molto le cose, gli ambienti, i rapporti. Io invece tendo ad essere sempre la stessa persona, con la stessa lealtà alla mano, indipendentemente da dove mi trovi. Ed è per questo che probabilmente poi ci resto male e rimango delusa. Perché ho questo modo di guardare oltre, che con certa gente non funziona. Non ne vale la pena. O forse mi faccio comprare con poco. Nel senso che poi do grande peso a gesti che, tutto sommato, non sono nemmeno così eclatanti, ma perché rivolti a me sembrano enormi. E non è sempre così. Dovrei imparare a prendermi quello che mi spetta. Né più né meno di quello che, semplicemente, mi spetta. Potrei inoltre smettere di pensare di poter cavare sangue dalle rape, a scindere davvero tempi e spazi. E magari, economizzare le energie, specie con chi, non si fa certo problemi ad economizzare le sue nei miei confronti. 



giovedì 9 giugno 2016

Al di là del muro...

Una delle cose che amo ripetermi, perché ci credo, è che: se non si prova non si sa. Non è un mantra che applichi a tutto, ci sono cose che non vale la pena di provare, non mi interessa provare e via discorrendo. Ma ci sono altre cose che ti lasciano lì perplessa, a fare i conti con il più classico del "vorrei non vorrei ma se vuoi". Ieri sera mi sono accorta che la mente andava in loop, piegata su se stessa e un pensiero del tutto sciocco se vogliamo, e che comunque non avrebbe dovuto occuparmi più di mezz'ora. Mi ci sono arrovellata tutto il giorno. Stamattina, in piena epifania, mi sono data una risposta, trovata la soluzione, e messa in opera. Pensiero archiviato in sei minuti e profonda soddisfazione. 
Ho la stessa sensazione quando scrivo qualcosa di buono. Se è un post mi dura poco, ma se è un racconto, ad esempio, su cui ho speso diverse ore ed energie, questo benessere mi si protrae per giorni. Mi piace. Benché sia la prima a dirmi che non mi capita così spesso. Soprattutto perché non lo faccio così spesso. Leggendo stamattina il post di un caro amico, mi sono accorta che mi entusiasmo molto per i lavoro altrui, per le idee altrui.
Meno per le mie.
Ci giocherello un po', come fanno i gatti con le palline di plastica, per alcuni momenti le trovo quasi divertenti. Poi le dimentico quasi annoiata. O forse, per meglio dire, poco convinta. Convivo con l idea che ci sia qualcuno che ha già "scritto diretto interpretato" meglio di me. Parafrasando il buon Fossati. 
La verità in realtà è un'altra. Fintanto che si scrive per sé stessi o in un blog fantasma, è come restare al sicuro dentro la propria confort zone.
Decidere di lasciare andare il proprio "bimbo di carta", come l ha chiamato ieri una cara amica, è accettare l idea che ti possano dire "no, non vale". O peggio "no, TU non vali". Del resto non sarebbe nemmeno la prima volta. 
E allora c è da chiedersi, è meglio restare nel limbo di un sogno coltivato, dove tutto ancora potrebbe essere ma di fatto non è, o correre il rischio di realizzarlo quel sogno. E scoprire cosa c è al di là di quel muro. Fosse anche una sconfitta, e l'idea di cercare un altro sogno da rincorrere? 

martedì 7 giugno 2016

Armi & Bagagli

Ieri sera ho fatto il "cambio borsa". Ho ragionato per giorni sull'idea di acquistare una borsa da viaggio per la Sardegna, una di quelle che posso tenere a tracolla e metterci dentro dall'asciugamano alla macchina fotografica. Alla fine, complice il rinnovo della patente e il suo costo da salasso, ho optato per rispolverare una vecchia borsa, acquistata qualche anno fa. Così l ho ripescata dal fondo dell'armadio e l ho "riarmata" per vedere l effetto che fa. Il cambio della borsa per una donna è un rito, è un passaggio mistico quasi quanto l'armadio di Narnia. Oggi valutavo che ho sistemato le cose con eccessivo ordine... e non mi piace. Il troppo ordine non fa per me. Di riflesso ho pensato ai biglietti del treno, freschi di stampa e appesi alla bacheca della cucina da stamattina. Tra 24 giorni torno nella mia Torino. Vado a riprendermela, a riprendermi il mio umore sereno e a dimenticare la città da cui sono scappata mesi fa. E poi ho pensato, che la mente di una donna è un po' come la sua borsa: un groviglio caotico di tutto il suo mondo, che ultimamente viaggiavo con il trolley. Elegante e grigio, con dentro quello che si chiamerebbero le "armi di seduzione" niente di particolare eh, solo quei capi di abbigliamento su cui si ragionava per giorni con le amiche, provando stile ed accostamenti, per voler dare il meglio. Il trolley mi ha abbandonata (anche lui) proprio quel giorno a Torino, e così stamattina ho pensato di rispolverare anche il mio vecchio Invicta, quello comprato appena tornata single e che pensavo mi avrebbe accompagnata nei miei viaggi in solitaria. Quelli che piacciono a  me, dove ti fermi a mangiare una macedonia seduta sotto la statua di Giordano Bruno. E così ho pensato che anche il contenuto si sarebbe adeguato al contenitore. Pensavo alle infradito e non ai tacchi, pensavo alla maglietta leggera e non alla camicia aderente. Pensavo. Pensavo che forse non si ha bisogno di armi, nei propri bagagli. Si ha più bisogno di speranze. Pensavo che piacere e piacersi e poi giocare fa bene, è stimolante. Ma anche sentirsi sé stessi senza combattere con le vesciche e altri dolori di varia origine e natura, non è male. Pensavo che ho voglia di muovermi e consumare quello zaino che sì, è stato usato ma appare ancora nuovo, e che se è pur vero che soldi non ce ne sono molti, posso sempre inventarmi delle valide alternative. Pensavo che sto imparando a viaggiare leggera. Anche rispetto alle persone. Che sto prendendo le distanze da chi assorbe energia senza regalartene a sua volta, che mi tengo stretta le mie scelte, anche quando sono discutibili, e mi sento in pace con me stessa. 
Assomiglio sempre più alla mia borsa caotica, alla mia agenda con tutte le graffette colorate a trattenere mille bigliettini, al mio zaino che ha voglia di ripartire, alla macchina fotografica che vuole scoprire la sensazione di una memory card piena, ai miei piedi finalmente scalzi, e ai miei capelli, che ogni volta che mi mancano e penso "adesso li faccio ricrescere" incontro chi mi dice "ma che bene che stai, hai tagliato via 10 anni". Insomma, forse sto iniziando ad assomigliare a me stessa.

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...