venerdì 31 marzo 2017

Amazon, croce e delizia

Se penso al mio lavoro, Amazon ha fatto danni. I clienti chiamano qui alle 4 del pomeriggio e pensano di poter richiedere una consegna urgente, per le 8 del mattino dopo. E non stiamo parlando di valvole cardiache. Si è persa la cognizione del tempo e del rispetto del tempo stesso.
Amazon però è di una praticità assurda. L'altro giorno ho visto la pubblicità di un oggetto strano, che potrebbe essere un bel regalo di compleanno per mio fratello e tac! eccolo pure su Amazon. Non devo impazzire ad inventarmi di andare a cercarlo in non so quale negozio, perché è davvero una cosa particolare che non trovi sicuramente con facilità. Specie se lavori 8 ore al giorno e hai di libero solo il fine settimana dove concentri tutti gli arretrati di vita, dei 5 giorni precedenti.
Io, poi, sono un'allodola. Adoro le cose che luccicano. Mi cadono gli occhi su questi bracciali indiani e, tac. Eccolo il pensiero mosso dall'abitudine del tutto subito: l'istinto è quello di vedere se su Amazon c'è. Tempo un paio di giorni e potrei averlo. Comodo e pratico. Se hai la carta di credito carica, deleterio. Perché non devi fare il procedimento di entrare nel sito della banca, caricarla, quindi vedi il tuo conto corrente che scende di pari importo, pagare il "pedaggio" come lo chiamo io (gli oneri di servizio) e poi tornare sul sito ed effettuare l'ordine. Se non è una cosa importante, il tuo cervello ti fa in qualche modo fermare prima. Se la carta di credito ha già un saldo sufficiente in positivo, è talmente immediata la possibilità di effettuare l acquisto che non ti fermi nemmeno a pensare "ma mi serve davvero? mi manca giusto questo per essere felice?". Il  piacere dell'acquisto dura il tempo del click, perché non hai il tempo più di desiderarlo. Piacere effimero. E poi, un'altra cosa. Mi piace degli oggetti la memoria che custodiscono, ecco perché alle volte mi è così difficile separarmi anche delle cosine più sciocche, ma per me hanno un valore importante che è dato dal momento in cui hanno iniziato a far parte della mia vita. Guardando questi braccialetti ho pensato al momento in cui qualcuno avrebbe potuto dirmi "bello questo bracciale... dove l hai preso" e la differenza tra rispondere "su Amazon" anziché un "in una bancherella di bigiotteria usata, poco distante dalla Senna, al quartiere Latino".
Riscoprire il gusto del desiderio. Anche se significa aspettare, cercare. Forse dover pure rinunciare, perché non è quello il momento giusto per trovare.
Ce n'è da rifletterci...


mercoledì 29 marzo 2017

Il tacco è uno stato mentale.


Come ogni primavera mi viene voglia di comprare scarpe nuove.
Come ogni primavera, sono in arrivo le bollette del gas, e mi passa la voglia di comprare scarpe nuove.
Così, dato che lo shopping compulsivo si finisce per farlo alle poste, e, cosa ben più importante, si è entrate nell'ottica di risparmio a favore di biglietti di treno, benzina e viaggi,  si entra nello stanzino e si controlla lo stato degli acquisti dell'anno passato. E non solo per le scarpe, anche per l'armadio e gli abiti. Certo, la temperatura ha ancora escursioni termiche degne del deserto, con i 5 gradi del mattino ai 22 della pausa pranzo. Però il sole, e l'allungarsi delle giornate invogliano al cambiamento.
Mi sono sempre piaciuti i tacchi. Un tempo ci passavo le giornate, quando andavo di fretta ci correvo pure, ma oggi molte cose sono cambiate. Una su tutte la stabilità del mio ginocchio. Dicono che, ammettere un problema sia il primo fondamentale passo per affrontarlo. Ecco, credo sia veramente venuto il momento di prendere atto che l'assenza di legamenti non mi concede una stabilità tale da usare le stesse scarpe e con la stessa frequenza, con cui mi scapicollavo su e giù per la vita, di un tempo. Ma se ne può davvero sentire la mancanza? Sembra uno di quei discorsi un po' frivoli da giornale di moda ma, il fatto è che il tacco è uno stato mentale riconosciuto. Tu indossi i tacchi e, parola di fior di giornaliste del settore, ti senti più sexy, più agguerrita, più padrona di te stessa. Gioco forza la fa la postura: il tacco obbliga la schiena dritta e il passo deciso. Durante la bella stagione, la sera dopo il lavoro esco e cammino a passo veloce almeno un'ora, se riesco lo faccio tutti i giorni. Mi sono accorta che quando cammino velocemente, ascolto la musica e finalmente scarico la tensione della giornata, il passo è deciso e la schiena è dritta. Postura praticamente perfetta, con le scarpe da ginnastica. Quindi, forse far dipendere il mio stato d'animo o lo stato mentale da quei 10 o 12 cm di tacco non è corretto. Sembra uno di quei discorsi da adolescente maschio, sotto la doccia fornito di righello.
Inoltre, se ripenso a quei momenti di cui custodisco il ricordo, in cui sono stata più felice, non ho memoria della calzatura che indossavo. E con ogni probabilità in alcuni di questi sono addirittura scalza. Questo dovrebbe dirmi già qualcosa.
Qualche giorno fa, pensavo all'idea di Semplificare. Con il prossimo cambio dell'armadio, sarebbe interessante provare a disfarsi anche di questi astrusi e arcaici preconcetti. Tornare all'essenza. Il che non significa dare spazio alla sciatteria e alla non curanza, semplicemente contare più su sé stessi e su quanto possiamo dare delle nostre idee e della nostra energia. Imparare a sentirci più noi dentro la  nostra pelle, che dentro un paio di scarpe o una maglia nuova.
Ad ogni modo, questo excursus non solo mi ha fatta ragionare sui massimi sistemi dello sculettamento sui tacchi, ma ravanando nelle scatole delle scarpe ho visto che ho già tutto quello di cui ho bisogno per la prossima stagione, dalle scarpe da ginnastica, alle infradito, ad un paio di sandali per le occasioni speciali.
Considerata la mia spesa media stagionale per le calzature, direi che ho risparmiato all'incirca un centinaio di euro: due biglietti (andata e ritorno) per Trieste con frecciarossa, il pranzo e l'ingresso al Castello di Miramare. Per fare un esempio.


martedì 28 marzo 2017

Lo zen e l'arte dello spignattare...


Fin da piccola le mie forme sono state sempre piuttosto "generose". C è da dire che se fossi nata al tempo del Botticelli, avrei avuto un gran successo. Eppure, tutto sommato, a parte la mia continua lotta (perennemente persa) contro la cellulite saldamente radicata intorno ai miei cosciotti, non ricordo di aver passato un'adolescenza di grandi conflitti. Le così dette paturnie sul peso e sulle forme decisamente mediterranee hanno avuto più peso dopo la separazione. Il che mi fa pensare che il problema non siano tanto i chili di troppo, quanto il peso che si dà alle stronzate che dicono taluni omuncoli e noi fesse pure a dar loro retta. Ma tant'è.
In uno strano processo evolutivo iniziato circa due anni or sono, ho iniziato a fregarmene bellamente. Con una certa moderazione, specie quando la bilancia un po' ci mette del suo. Come tutte le fanciulle, penso al costume, agli abiti più leggeri della primavera e appendo la dieta al frigo pensando di trovare così fonti di ispirazione. Poi ci sono momenti in cui ti scontri con una vita già di per sé amara, e allora cedo al dolcetto. E alla pizza... ma senza troppi sensi di colpa. Suvvia. Alla fine credo siano ben altre le colpe di cui ci si dovrebbe dar pena.
Qualche giorno fa ho visto uno di quei programmi dedicati all'arte culinaria tutto incentrato nella cucina vegetariana. E mi ha incuriosita. Non ho mai avuto una grande passione per gli ortaggi, ma devo dire che negli ultimi anni ho imparato ad apprezzarli, anche al di fuori delle "patatine fritte". La carne, per controparte, non mi fa impazzire. Salvo certe cose particolari, come il ragù di mamma, il branzino al sale, le seppie e il tonno. Uhm. Temo che la filosofia vegetariana non mi appartenga del tutto, ma mi è tornata la voglia di mettermi ai fornelli e prendermi di più cura della mia alimentazione, che negli ultimi mesi "cena" significava aprire il frigo e raccattare a caso ciò che c'era. Sperando non fosse scaduto. (Tipo gli yogurt di ieri, che poi alla fine sono ancora buoni, diciamocelo).  
Esistono quindi gli interruttori mentali? Quelli che ti fanno scattare dentro una sorta di scintilla e pensare che da oggi le cose funzioneranno diversamente? Evidentemente sì. Fondamentale però non cedere di nuovo al circolo vizioso della pigrizia, e del massìdomanicheogginonchovoglia. Cosa di cui, se vogliamo, potrei essere maestra. Se l'idea è quella di ricominciare, e farlo al meglio, allora la perseveranza deve essere uno degli ingredienti principali. Il sole e le giornate più lunghe non possono che essere d'aiuto.
Obiettivo: 1 ricetta semplice al giorno. Niente di troppo elaborato, ma che sia più sfizioso delle zucchine bollite, "da ospedale" come direbbe l'Ing. E vediamo come va.

venerdì 24 marzo 2017

Fragilità


Sono due giorni, che tutto ci ricorda quanto siamo fragili. Quanto siamo precari. Quanto tempo sprechiamo in pensieri e, spesso, ansie del tutto inutili.
Quando sono uscita dal tunnel "incidente" avevo ben coscienza di quanto tutto fosse così... dannatamente sfuggente. E forse, riuscivo a cogliere l'attimo prima e meglio. Perché la botta (non solo figurativa) era recente, e cocente. Perché quando riapri gli occhi e focalizzi di essere ancora viva, ti imponi di darti una seconda possibilità. Poi, man mano che i giorni passano, ci si abitua. Anche alla fragilità, alla precarietà. Rientri naturalmente nel circolo vizioso delle cose da fare, alle scadenze, ai problemi del quotidiano, a come far quadrare i conti tra bollette e imprevisti.
E poi ci sono le notizie che, improvvise, ti riportano in una realtà in cui un folle fanatico può decidere di alzarsi la mattina, e di falciare la tua vita in nome di un dio (e lo scrivo volutamente minuscolo) che non è di nessuno, se non dei folli fanatici. Oppure, un po' più in piccolo, ma certo non meno doloroso, uno dei meravigliosi ingranaggi del tuo corpo decide che è tempo di fermarsi. E con lui il tuo respiro.
E' un paradosso, da un lato, una cosa totalmente scontata al punto di sembrare quasi banale, dall'altro. Ma alla fine, in quei momenti, tutto ciò che ti resta tra le mani sono i sentimenti. Non c è più nulla che ti tocchi, nulla che ti importi davvero. Non lo screzio, non l'incomprensione. Resta solo l'amore, le parole non dette. Quelle che spesso custodiamo, le pensiamo, ma soprattutto le sentiamo ma che non diciamo. Perché il pudore, perché crediamo ci sia sempre tempo, perché... mille e un motivi (fasulli) per tacere.
Qualche giorno fa attendevo un'amica per una cena, e poi si sarebbe fermata a dormire da me. Subito mi è partito il trip delle pulizie, del mettere in ordine, perché tutto doveva essere al meglio. Poi, complice un raffreddore più forte del solito ho dovuto desistere, ma questo rallentare forzato mi ha fatto capire, che a quell'amica sarebbe rimasta impressa la serata condivisa, il potersi riabbracciare finalmente, e sì, forse anche la casa, ma non come specchio esemplare di pulizia, piuttosto come riflesso del mio essere. Non per i pavimenti lucidi, ma per le foto che ritraggono momenti speciali alle pareti.
Mi capita sovente, guardandomi intorno e dentro me stessa, di pensare che alla fine ciò che ci fa più paura è proprio vivere appieno. Attraversiamo i giorni con il freno a mano tirato. Siamo prigionieri di una gabbia di cui noi stessi abbiamo forgiato le sbarre.
Ed è strano che sia proprio la morte, a doverci ancora una volta insegnarci a vivere. Siamo fatti davvero strani...

mercoledì 22 marzo 2017

Lavori in corso


Mi pare fin troppo chiaro, che il 2017 è nato con l'intento di farmi imparare a vivere sull'improvvisazione. Io che amo programmare, non dico al minuto ma almeno al giorno, le cose che vorrei fare e quelle che "me tocca", niente. Quest'anno è tutto un fare e disfare che nemmeno la tela di Penelope.
Non fai in tempo a mettere giù due punti chiave, per il fine settimana, che ti prendi mezza bronchite e viaggi sui 10 giorni di antibiotico. Così, giusto per non farsi mancare niente. E quindi anche in pensieri si piegano su loro stessi, agitati e scrollati tra uno sternuto e un migliaio di colpi di tosse senza fine. Ma se le idee e le energie latitano, la buona speranza c è sempre. Intanto ho dato un cambio di aria a queste stanze, ne ho modificato i colori e spero anche lo spirito. Mi piace questa foto della stazione, di sottofondo. Perché alla fine è il mezzo con cui mi muovo più spesso e più facilmente quando mi imbarco in uno dei miei "viaggi". Che poi chiamo viaggi anche quando sono poco più di gite fuori porta. Ma sto partorendo l'idea che non mi serva andare dall'altra parte del mondo, per capire cosa mi passa per la testa, e quindi dato che le mie possibilità economiche/familiari/lavorative, non mi permettono di pensare spesso oltreconfine, ho deciso di fare necessità virtù e pensare alla primavera e alla prossima estate come una fonte inesauribile di spunti di gite e viaggi, "fuori porta"  ma che siano capaci comunque di lasciare un "segno". Sfruttando al massimo le poche risorse a mia disposizioni.
Chissà se come idea ha un senso. O se è un'altra delle mie idee farlocche, destinate a svampare con il primo antibiotico.
Mah...

mercoledì 15 marzo 2017

Just Do It




Mi capita, alle volte. Di portarmi addosso questa sensazione di, come chiamarla... Non so darle un nome preciso, è un mix di stanchezza, noia e inconcludenza. Insofferenza. Ecco, potrebbe essere la parola giusta. Diverse cose mi danno fastidio, anche quelle su cui di solito faccio spallucce e passo oltre. C è da dire che, ad esempio, mi rendo conto che la stanchezza e il fatto di avere più di una preoccupazione, non gioca a mio favore. Arrivo a casa particolarmente stanca, e non avendo qualcuno con cui poter parlare e distrarmi, finisce che passo gran parte del tempo con il cellulare in mano. Mi sento in un certo senso intossicata. Anche con il blog alle volte succedeva, negli anni passati. Quando la presenza diventava pressante, tra post, commenti e il "dover" ricambiare visite leggendo a mia volta altri post e via discorrendo. Su fb i testi sono più corti, ma il ritmo più frenetico e finisce che è una continua rincorsa a cercare di capire se ci si è persi qualcosa. Prendere in mano il telefono e scorrere la hompage diventa quasi un gesto compulsivo. E non mi piace. Mi fa sentire dipendente da qualcosa che alla fine non mi appartiene e di cui non resterà nulla. A parte qualche caso sporadico, i veri rapporti, sebbene nati in ambito social, si sviluppano al di fuori di lì. Perderci troppo tempo non è sano. Sento la necessità di arrestare questa corsa al "dire", che poi... dire cosa? e concentrarmi di più su un altro ritmo. Un altro tempo. Ho la sensazione di essere ferma, al limite di girare a vuoto, in tondo. Come un pesce rosso nella boccia. E la cosa mi ha stancata. Ho bisogno di capire cosa mi stia sfuggendo, a parte il tempo, ovvio. E credo che cambiare certe dinamiche sia il primo passo per fare un po' di ordine e ritrovare a focalizzarmi su ciò che è davvero importante.  E mi fa strano pensare che poi non sarà nemmeno tanto facile, perché la cosa più difficile da cambiare sono proprio le abitudini. Ma se ho imparato a camminare di nuovo a 34 anni, allora posso pure cambiare un atteggiamento che non riconosco più come mio. Credo che tornerò qui, dove il tempo e i modi li scandisco io, a modo mio. Anche se poi resterà un discorso solo, tra me e te.


In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...