giovedì 22 giugno 2017

E' arrivata l'estate. Cercavo un'immagine che me la evocasse e ho preso un'insalata d'orzo con le verdure. L'adoro. Per la freschezza, per il modo di saziarti senza farti sentire un ippopotamo e, non l'avrei mai detto, perché invecchiando mi sono appassionata alle verdure più che a qualsiasi altra cosa.
Arriva l'estate e ho voglia di pensieri leggeri, di togliermi di dosso le paranoie, le incazzature veloci, ma anche quelle latenti che ti porti alla bocca dello stomaco come un'abitudine. Ho voglia di fare cose senza pensarci troppo. Come sabato scorso quando mi sono seduta davanti alla Maga Ginevra e le ho detto di farmi le carte. E lei mi garantisce che c è un Re di Coppe nel mio futuro. A leggerne la descrizione sono scoppiata a ridere. Praticamente un Alberto Angela in versione bionda. Troppo bello per essere vero, ma visto che è estate, voglio concedermi il lusso di crederci, sperarci un po' e usarlo come aneddoto nelle serate tra amiche per riderci su.
Ho voglia di mojito, e di chiacchiere sceme, di guide turistiche da sfogliare e di perdermi per qualche strada che non conosco, e dover chiedere informazioni. Ho voglia di finestrini aperti, di cantare mente sto in coda in tangenziale, perché le canzoni d'estate sono quei tormentoni che ti entrano in testa senza chiederti il permesso. Ho voglia di mettermi in gioco. E di giocare. Con leggerezza che non significa superficialità. Significa che ogni gesto e ogni svolta non deve essere carica di quella pesantezza introspettiva che non riusciamo a non dare ad ogni cosa ci capiti, chiedendoci il perché e il per cosa. Ho voglia di lasciare andare. Un anche solo per un po'...
Ho voglia di cose semplici, fresche, come un'insalata d'orzo.

giovedì 15 giugno 2017

Libri...

I libri sono oggetti. Più o meno preziosi a seconda dell'autore, dell'edizione e del contenuto. Ma nella sostanza sono oggetti. E nemmeno indispensabili, a ben vedere. C'è gente che senza vive benissimo, c'è chi ne ignora bellamente l'esistenza eppure è felice, e chi li vede semplicemente per quello che sono. Libri. L'essenza del libro ce la mettiamo noi, a seconda delle nostre proiezioni emotive. Attenzione, non sto parlando dei manoscritti di Leonardo, o dei manufatti meravigliosi del '300. O, ancora, I Dialoghi con Leucò, con l'ultimo messaggio di Pavese tra le pagine. Sto parlando dei più comuni libri di oggi, quelli stampati copia su copia, di autori più o meno discutibili, anche apprezzabili, per carità. Ma libri "normali". Di quelli che se dimentichi in tram poco male, non è la fine del mondo. Lo ritrovi anche su Amazon.
Libri.
Stamattina mi imbatto in un video dove un artista incidendo libri, crea sculture meravigliose. Indiscutibilmente meravigliose. I commenti (non si dovrebbero mai leggere i commenti sotto gli articoli di giornale, e nemmeno sotto certi video, pena la gastrite) facevano rabbrividire, il livello di aggressività scatenata dall'incisore nei "lettori" era pari a quella di un video terroristico. Oh ma andiamo. Torniamo ragionevoli. (Ragionevole è una parola che si trova ancora sul dizionario, sì). Esistono libri e libri. Il libro non è un oggetto sacro in sé. Ci sono libri che ti fanno solo pensare "spero che l'albero fosse già morto da un pezzo". A questi libri, se me ne ritrovo tra le mani, io regalo una seconda possibilità: li butto, nel bidone della carta riciclabile. Così che magari muoiono libro della Barbara D'Urso e la carta poi rinasce come bigliettino di invito ad un matrimonio. Le si dona, alla carta dico, la possibilità di riacquistare dignità. Il libro lo puoi sottolineare, gli puoi fare l'orecchio sull'angolo della carta, schiaffarci dentro una cartolina del mare degli anni '80 come segnalibro, di quelle che le ritrovi dopo anni e dici "oh ma tu guarda! me la ricordo quella vacanza...".
Il libro lo si può e lo si deve vivere, senza che qualcuno abbia la pretesa di insegnarti a leggerlo al solo fine di lasciarlo intonso, studiando posizioni kamasutrali per non piegare eccessivamente la costa.
E lo si può anche accantonare. Così come accantoniamo le persone per le più svariate ragioni. Se abbiamo il coraggio di sbattere porte, o lasciare una persona che non ci completa più, possiamo anche separarci da un testo che non si fa leggere. Regalandolo alla biblioteca del paese, ad un conoscente dai gusti diversi dai nostri, ad un mercatino delle pulci o al bidone del riciclo se opportuno, dagli la possibilità di diventare altro. Qualcosa di migliore, forse, che per certi autori ci vuole poco. Anche diventare uno scatolone da imballo, che viene usato in un trasloco verso una nuova vita, è meglio di un centinaio di pagine sfumate di grigio nero o che.
Insomma. Ci sono cose che si possono lasciare andare.
Un po' come le persone. E non è mica detto che sia sempre doloroso. Spesso, quando ci si libera dell'idea del possesso, si vive meglio. Decisamente, meglio.  


lunedì 12 giugno 2017

tempo...

Il tempo cura tutte le ferite, dice un vecchio adagio. Peccato che ormai si viva in perenne lotta contro il tempo. Specie quello delle sensazioni negative, del dolore, del vuoto. Facciamo di tutto per riempire il silenzio o il vuoto con il rumore, l impegno. Anche l impegno del niente è meglio del fermarsi e permettersi di soffrire. Accettare una sconfitta, una battuta d'arresto. Un dolore, appunto.
Ci insegnano che chi si ferma è perduto, e quindi è tutto un correre e un rincorrere. Qualsiasi cosa pur di concentrarsi subito su un altro desiderio.
In realtà, il dolore come la gioia, va assaporato. Non dico sguazzarci dentro o intingersi nell'autocommiserazione. Parlo del metabolizzare. Come la gioia o il momento di felicità che lo vivi e vorresti trattenerlo per sempre. Ma non puoi e allora vivi la sensazione perché sai che sarà quella a cui potrai aggrapparti nei momenti bui.
Ma, anche il dolore è così. Anche il dolore per quanto sgradevole è lì per lasciarci qualcosa a cui aggrapparci.
La prima cosa che mi hanno detto, quando Melli se n era andata solo da poche ore è stata "prendine subito un'altra". Passiamo oltre alla mentalità del "era solo un gatto". Facciamo questo sforzo. Nel dolore della perdita l idea del rimpiazzo era quanto più lontana dalla mia testa, ma ancora da più dal mio cuore. E' passato meno di un mese da quel giovedì sera, ho dato il tempo al mio cuore di tramutare il dolore in malinconia. Quella che mi prende la sera quando rientro in casa e non la vedo alla porta ad aspettarmi, non sento le proteste, e non ho nessuno a cui fare domande sceme con una voce altrettanto scema.
Ieri mattina sono stata in un gattile. C erano una ventina di gatti, uno più bello dell'altro, ognuno con una storia ed un passato. Alcuni diffidenti, altri socievoli e coccoloni, nonostante tutto.
Ho provato a visualizzarmi accanto a qualcuno di loro. E anche se l'idea di aiutarli mi entusiasmava, non sono riuscita a vedere nessuno di loro sul mio letto, a dormire accanto a me. M. del resto mi ha detto "dopo vent'anni di letto condiviso, come fai in effetti a farci rientrare chicchessia".
Il letto simbolo di intimità. Anche quando, ma forse soprattutto, quando lo condividi con un amore incondizionato. Non voglio paragonare la perdita del micio con una vedovanza, per carità. Ma tra "umani" siamo in grado di tradirci, cambiare letto e lenzuola con maggiore facilità. Quando l'amore è spezzato dalla perdita, quel vuoto in qualche modo ci fa compagnia. E' dura pensare ad un "rimpiazzo". Ma per focalizzare una nuova storia, un nuovo amore che ti faccia battere il cuore senza sovrapporsi al primo, torniamo sempre lì: c è bisogno di tempo. Che la ferita faccia la crosticina, che inizi a prudere, che la pelle nascosta lì sotto diventi più forte e capace di resistere agli agenti esterni. E quando è pronta la crosticina cade da sola. Resta il segno, che rappresenta un ricordo. Ma che non fa più male. Questo è.
Dovremmo ricordarci la lezione di tutte le volte che siamo caduti dalla bici, dai pattini o dallo scooter. Ci vuole tempo. Per riassorbire il trauma, farsene una ragione. E riprendere coraggio.
Non importa che forma abbia l'amore. Dovremmo imparare nuovamente a concederci il tempo di soffrire, curarci e innamorarci di nuovo.
Che non tutto, si cura con il tempo di un clic.

lunedì 5 giugno 2017




Nei primi dieci giorni senza te, ho scoperto che:
- la porta dello stanzino e quella del bagno possono chiudersi. Incredibile!
- esistono rumori in casa che non sono dipendenti dai tuoi spostamenti. Ma che, davvero?
- che cammino ancora guardinga con l idea di poter pestare uno dei tuoi pupattoli, o te che mi ti infili tra le gambe.
- che la cucina senza le tue ciotole sembra più grande...
- lasciare il tuo piattino rosso da prosciutto, sopra il tavolo ieri, non è stata una buona idea.
- non mi riesce di tagliare una fetta di prosciutto senza pensare "questo è per la mia rompipalle".
- che sei sempre stata una gatta silenziosa, ma il silenzio d'assenza è ben diverso dal silenzio di presenza.
- che posso lasciare le finestre aperte, senza pensare "troppa aria le fa male alle orecchie" oppure quella dello studio: "potrebbe saltare sulla scrivania, andare in finestra, precipitare, finire nella casa diroccata di fronte, rompersi entrambi i femori, perdersi nella nebbia padana e finire mangiata dai cani alsaziani" e altri cataclismi di varia forma o natura.
- che sono molto più libera di andare e venire senza orario, ma al momento non ho ancora capito che farmene di tutta questa libertà.
- che posso lasciare la roba stirata sul letto senza ritrovarla 5 minuti dopo con una riconoscibile sagoma di culone peloso pressata sopra, con relativa dispersione di pelo.
- possono esistere vestiti senza peli. mah!
- il letto è diventato improvvisamente immenso, benché tu non fossi certo delle dimensioni di un alano
- passare 10 giorni senza dire cose sceme parlando con la vocetta scema non è sano. potrei iniziare a fare la vocina scema quando parlo da sola. non escludo che finirò per farlo.
- scrivere senza una gatta distesa sulla tastiera del pc, è quanto più difficile una scribacchina possa fare.

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...