mercoledì 26 settembre 2018

Si stava meglio quando si stava peggio... e le mezze stagioni?

Il mio ragazzo stava a Bologna. 
Avevo 17 anni, il pensiero più gravoso era la maturità e il fatto che potessi vedere Claudio solo il fine settimana. 
La sera si usciva per telefonare, che se no la bolletta del telefono diventava improponibile, quindi, a giorni alterni si usciva e si andava nella cabina telefonica più vicina. 
Anche in inverno. 
Anche sotto la pioggia.
Anche d'estate quando non potevi tenere le porte chiuse perché si raggiungevano i 451°  Fahrenheit.
E poi si scrivevano lettere. I fogli protocollo avanzati dai compiti o strappati dall'interno del quadernone, raccoglievano tutti quei pensieri e parole, opere e omissini che la fine del credito non permettevano di esternare. Magari arrivavano dopo una settimana, forse non ricordavi esattamente cosa avessi scritto. 
Ma tant'è. 
Poi arrivava il fine settimana, l'ultima ora la passavi seduta sulle spine, perché finalmente era sabato e domani niente scuola, in compenso sarebbe arrivato e avresti riconosciuto il motore della Ford Fiesta mentre parcheggiava sotto casa. E gli saresti corsa incontro buttandogli le braccia al collo con in tasca il primo dei centomille baci che conservavi dalla domenica sera precedente. 

Oggi c'è whatsapp. 
Ed è meraviglioso. 
I messaggi arrivano istantanei, ci puoi mettere dentro le foto guarda, lo sto guardando anche per te che sei distante, faccine e messaggi vocali. Puoi cantare tanti auguri alla tua amica che abita lontano e fingere di non essere stonata come una campana rotta. Non hai più bisogno di uscire, a giorni alterni, gelando d'inverno e arrostendo d'estate per sentire da voce dall'altra parte di un filo che sparisce nel sottostrada e rispunta a centinaia di chilometri da te. Basta un cuoricino per dire a qualcuno che lo pensi. Siamo tutti più vicini.

O dannatamente e stupidamente distanti.

Perché dovrei chiamarti, se scriverti è più pratico. Poi, tu mi leggi quando puoi.
Perché dovrei chiamarti se posso fare un monologo  senza contraddittorio. Poi, tu mi ascolti quando vuoi.
Però se mi ascolti e non mi rispondi, che devo pensare? È impossibile tu non mi abbia vista, ascoltata, c'era la doppia spunta blu. Vuol dire che mi ignori, brutto stronzo. Visualizzi e non favelli. 
Magari stavi guidando, eri dal medico, parlavi con tua madre e sì hai pensato "dopo rispondo con calma" e ti sei dimenticato. Perché nel frattempo sono arrivati altri messaggi, altre foto, altri input, e cazzo, dovrai pure lavorare anche tra una pausa e l'altra dai social.
Ma con la voglia di baciarti, come la mettiamo? Ecco, adesso, proprio adesso, io avrei voglia di accarezzarti il viso, la barba il sorriso. Respirare l'incavo del tuo collo che sa di casa, sentirmi le tue mani addosso curiose e sfacciate. Te lo scrivo, mi senti? Lo senti il desiderio che ho di te, che solo a pensarti ho la pelle d'oca. Te lo scrivo mentre sono qui, sul divano, con la musica di sottofondo, ho fatto una doccia e non ho ancora voglia di vestirmi.
Tu invece ti sei attardato al lavoro, sei imbottigliato nel traffico delle sei, la tangenziale è impossibile a quest'ora, me l'hai raccontato mille volte. E poi devi fermarti a prendere qualcosa per cena, ce ne sarà ancora di latte in frigo? E il bollo auto? Ma l'avrai pagato il bollo auto? E dove va questo col suv? Ma chi gli ha dato la patente, ma poi perché tutta sta mania del suv, da dove venite tutti? Dalle Alpi Apuane?
Bip.
Foto di me, asciugamanto in posizione strategica, divanosa e profumosa, con una mano sibillina e un gioco di vedo e non vedo. Mancano solo le labbra a cuoricino, ma per pura decenza.
Alzi gli occhi in tempo per vedere la paletta della Stradale che ti fa cenno di accostare. Patente e libretto, non lo sai che il cellulare alla guida anche no?

Però è igienico, dai.
Amiamoci così, che tanto le mie mani mi conoscono meglio e durano quasi sicuramente più di te.
Fattene una ragione.
Inoltre mi puoi mandare anche una foto da appena sveglio e io non sento il fiato da topo morto che ti porti addosso, e il filtro giusto evita tu possa prendere paura per le mie occhiaie alla Casper.
Tu comodamente a casa tua, io nella mia. Anche se viviamo sotto lo stesso cielo, anche se basterebbe un treno, un'auto, un paio di ore di risciò e potresti essere qui.
Ma no dai, che se poi mi stanco o se ti stanchi possiamo sempre dire sia caduta la linea, consumato il traffico di giga, cambiare gestore e nick name. Amen. Una prece.

Chiusi dentro i nostri quattro muri, possiamo ordinare la cena con un click, fare la spesa con un click, possiamo parlare con whatsapp, ridere con whatsapp, fare l'amore con whatsapp, recriminare, discutere perché a lei hai messo il cuoricino e a me solo un pollicione? Vogliamo parlarne? Mi nascondi sicuramente qualcosa.
Scusarci, cuoricinare e abbracciarci a distanza mentre in realtà mangiamo un gelato e seguiamo la serie televisiva e tra poco spengo tutto che domani c'è da lavorare.

L'amore al tempo di whatsapp.
Era meglio il colera. 

mercoledì 19 settembre 2018

www.casoumano.net


Salgo sul treno che da Torino Porta Nuova deve portarmi a Bardonecchia City. Sono lì che aspetto l'arrivo di Cristina, e noto sto ragazzetto, #casoumano n. #hopersoilconto.
Io li noto tutti gli strambi che mi girano intorno, specie se viaggio da sola, non per paura eh... ma diffidenza. Ho abitato sei mesi dietro la stazione di Padova, l'attenzione a chi ti gira intorno non deve mai, mai venir meno.

Avrà avuto 20/25 anni, canotta bianca e jeans. Nemmeno troppo grande, nemmeno troppo ben fatto. Lo noto perché nelle sei, sette vasche che ha fatto su e giù per il vagone non ha potuto esimersi dal buttare l'occhio sul mio, come dire, palpabile talento.
Fatto sta che dopo l'arrivo di Cri, io e lei ci mettiamo a parlare, ma la coda del mio occhio continua a seguire i movimenti del fanciullo che, ad un certo punto non trova di meglio da fare che calarsi le braghe, prendere come dire, la situazione in mano e con polso fermo e incisiva determinazione, impegnarsi a raggiungere un entusiasmante risultato. 

Ora, son donna di mondo e nemmeno di primo pelo, data l'età, ma non nascondo che l'imbarazzo mi ha fatto perdere il filo del discorso.
Ragazzetto sicuramente caparbio in quanto, nonostante le distrazioni e la possibilità che potesse arrivare il controllore da un momento all'altro, non si è mai arreso, anzi.
Con una certa perserveranza ha continuato nel suo intento mentre, con la manina libera dall'incombenza, mi faceva quello che secondo lui doveva essere un "ciaoone", e io interpretavo a malapena come un "salut" con pronuncia rigorosamente francese. 
Si arrende solo all'arrivo della fermata successiva, dove noi approfittiamo per spostarci dal suo raggio visivo e lui per fare un'altra passeggiata ricognitiva passando abbastanza vicino per sentirmi dire: "se non la smette m'arzo e je meno e je faccio male" (non so il motivo ma il mio lato picchiatore parla come Er Monnezza ).
Firma la resa e nell'impossibilità di dar sfogo alla propria creatività, scende.
Ed è stato a quel punto che è giunto il controllore e... minchia... era pure peggio... 

Il controllore, più che un #casoumano è stato una #pnc. Arriva dopo pochi minuti chiedendo il biglietto.
"Guardi, sarei venuta a cercarla, non fosse che sarei dovuta passare davanti allo Smanettone della Val Susa".

L'illuminato abbassa sul naso l'occhialetto e, con l'aria dell'uomo fatto e finito risponde "Ah, ma non serve chiamarmi, a gente così basta dare un calcio su ciò che espongono".
Io e Cri ci guardiamo, visualizziamo la scena e scatta un "puaaaa" schifato in versione coro. "Anche no, mi sporco i jeans".

Il controllore non capisce l'ironia della battuta e comincia a raccontare la sua esperienza con i maniaci da quando il treno era a vapore, come i treni a vapore, di stazione in stazione e di porta in porta, quest'inverno passerà.
Il tutto condito con la sua mano a dita rigide contro la mia spalla, mentre mi appiattisco sempre più vicino a Cri e lui avanza verso di noi.
Cri che guarda il finestrino e con rapidi calcoli valuta se sia possibile lanciarlo fuori.
Desiste dal dare due testate al vetro e devia sul: "be' ma noi ora ci si prepara per scendere", con me ormai seduta sulle sue gambe tipo koala in cerca di aiuto.
"Ridateci il maniaco" mi sussurra all'orecchio la mia compagna di viaggio.
E niente... dall esimio controllore scopriamo che persino al tempo degli Assiri e dei Babilonesi, lui ha incontrato gente strana.
Lui.
Ma con la potenza derivatagli dall'autorità conferitagli dalla divisa, ha sempre riportato l'ordine e la serenità nei suoi convogli.
"Questione di polso" dice.
"Arridaje" rispondo.

Bardonecchia è all'orizzonte e decido di fare l'unica cosa fattibile. Mi alzo in piedi.
Voi non lo credereste mai. Se non ci fosse Cri come testimone, pensereste ad una vile menzogna. E invece.
Invece mi alzo scopro che il Palpeggiatore della Val Susa è più piccoletto di me.
Questo basta perché si defili velocemente.
"Ma poi il biglietto, l'ha controllato solo a noi?" chiede Cri.
Alle uniche del vagone con palpabile talento, mia cara.
E che talento.
#thatsallfolks

mercoledì 5 settembre 2018

#Genova

Seduta in riva al mare, sul muretto di Boccadasse con un frappè alla fragola tra le mani, pensavo a quanto fosse strano essere "in vacanza" in un posto dove non ero mai stata.
Non perché sia dannatamente abitudinaria, ma perché di solito ogni volta che riesco a racimolare un po' di tempo e di soldi, il primo pensiero è Torino.
"Non sei ancora stanca di vedere sempre la stessa città?" mi si chiede. "No, io amo Torino, da matti" rispondo.
Torino mi rigenera e mi fa ritrovare quella parte di me che, troppo spesso, perdo sotto strati di altre cose, altre vite, altre priorità.
Ma è Torino? Voglio dire... sono i muri della città? Le sue vie? La Mole che mi appare così, a sorpresa, da sopra i tetti, a farmi respirare con un altro ritmo?
Anche.
Ma, io guardo la Mole e vedo il cuore delle persone che amo, pulsare alla sua ombra.
Amerei Torino nello stesso modo, se non fosse lì che ho fatto il mio primo giro in moto dopo l'incidente, con l'Ing.?
Se non fosse lì che trovo Patrizia a mostrarmi gli angoli della sua infanzia e ad accogliermi a braccia aperte ogni volta che torno?
Porta Nuova sarebbe una stazione come un’altra se non fosse per le rincorse a prendere i treni sempre all’ultimo istante, tra risate e lacrime, con chi mi aspetta e poi mi guarda partire.
Sono le Persone a farti amare una città. Sono le braccia che ti stringono, l’affetto che senti intorno a te anche quando pensi di essere sola e lontana, la nostalgia di un tempo che non è ancora finito ma che non ti basta mai per dire tutto quello che vorresti, e ti sembra di lasciare sempre qualcosa sospeso.
Questo pensavo mentre i miei occhi accarezzavano le case colorate del piccolo borgo sul mare, mentre mi perdevo tra i caruggi di Genova con le sue contraddizioni, o mi fermavo a respirare l'aria di mare sul pontile De Andrè, con gli occhi fissi sulla Lanterna.
Nemmeno il tempo di arrivare che già sono sul treno che mi riporta a casa, nella borsa un pezzo di focaccia, un sasso a farmi compagnia, come suggerito da un'Amica cara.
E un altro filo rosso puntato lì, con uno spillo poco distante dalla cattedrale di San Lorenzo e che si tende attraverso la pianura a fare un ponte (parola non a caso), silenzioso e forte, per finire annodato intorno a me.
E quando i tempi e la distanza, inizieranno a stringere troppo il nodo, fino a far male, saprò che è tempo di tornare dalle mie Persone.
Perché non sono i muri.
Sono i pezzi di cuore che lasci nelle tasche delle Persone, a farti amare una città.

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...