domenica 24 aprile 2022

Piove deserto - Ciro Auriemma e Renato Troffa

 
Davide e Leo sono amici da che hanno memoria, uniti da un legame fraterno che sembra destinare a durare per sempre. 
Ma, come spesso accade, il per sempre è un concetto relativo anche nei rapporti e nei sentimenti. Esiste fino a quando almeno uno dei due ci resta aggrappato con tutte le sue forze. 

E così mentre Leo lascia Carloforte e rincorre una vita diversa da quella di suo padre e quanto più possibile distante da tutto e tutti, Davide resta nella sua Sardegna e costruisce la sua famiglia e prova per anni a mantenere il legame vivo con quel fratello sempre più distante, e non solo per i chilometri geografici. 
Ma a distanza di quasi trent'anni è proprio Davide a costringere Leo a tornare a casa.
Morendo.
Di una morte sospetta, che come in ogni paese piccolo che si rispetti, dà più spazio ai pettegolezzi e ai dubbi. Ci torna per amicizia, forse, ma soprattutto perché incaricato dalla sua agenzia di investigazione a condurre un indagine per conto della compagnia assicurativa. Davide è davvero morto all'interno della fabbrica dove lavorava? O era scappato da qualche parte con un'amante? O ancora, poteva aver scoperto una verità persino più grande di lui e aver pestato i piedi sbagliati?

Quella raccontata da Auriemma e Troffa è una Sardegna lontana dalle spiagge di turisti svogliati e il profumo del mirto decantato in mille e più modi. Un odore in particolare mi ha accompagnata durante la lettura: odore di ferro e di acido. Non so se vi sia mai capitato: in una delle mie vite precedenti lavoravo in una ditta di ricambi auto e in magazzino avevamo un muletto. Quando lo si metteva sotto carica l'acido delle batterie iniziava a ribollire e, anche se ero troppo lontana per sentire il ronzio dell'elettricità, me ne accorgevo perché l'acido mi creava uno strano prurito ai denti. Non saprei come altro descriverlo. Durante la lettura del romanzo quel prurito mi ha fatto compagnia, mantenendo sempre alta la tensione e l'attenzione. 
Leo non è un personaggio facile, come non lo è il suo passato e tanto meno il suo presente. È un uomo che ha perso. Su tutti i fronti.
Ma la narrazione in prima persona ci costringe a sederci, camminare, piangere e godere, anche, con lui. Il dolore delle botte, le ferite mai rimarginate. Osserviamo la vita con i suoi occhi, quelli di un uomo che non è mai stato e non si trasformerà in un eroe nel corso della storia; gli occhi di un uomo che prova, con i mezzi che ha, a fare del proprio meglio nonostante la sensazione di inadeguatezza che lo accompagna costantemente.
Eppure si fa fatica a non entrare in empatia con il suo dolore, tanto che ad un certo punto le carte si mescolano e se da un lato c'è un mistero da risolvere, dall'altra c'è una vita da rimettere in piedi e si seguono entrambi i filoni con la stessa passione. Perché, alla fine, Leo potrebbe essere uno qualsiasi di noi ma spogliato di tutto ciò che è "sicurezza" nella nostra vita. Uno di quei casi in cui saremmo tutti disposti a dire "a me non capiterebbe mai" fino a quando non ci si trova proprio nel mezzo del ciclone. 

Così come spesso accade nei romanzi di Camilleri, anche in quello dei due autori sardi, l'indagine è l'occasione di raccontare anche dell'altro, sposando l'attenzione ora su un piano, poi sull'altro senza mai perdere di vista l'obiettivo ultimo.
E sarà ancora una volta Davide ad accendere una luce nella vita di Leo, segno che quella sua amicizia ostinata e la perseveranza nel voler tenere vivo il loro rapporto, l'aver faticato per entrambi non è stato vano. 

Ho letto questo libro in un pomeriggio, con quella fame che arriva dalla voglia non solo di conoscere una storia, ma di scrutare il dietro le quinte della sua struttura. Mi sono ritrovata all'ultima pagina con un mix addosso: tristezza e nostalgia, come quando si è alla stazione pronti per tornare a casa e si vorrebbe invece fermarsi ancora un po' in quel posto e non lasciare quegli occhi che fanno, ormai, un po' parte di noi.
Ad averlo saputo, probabilmente, l'avrei letto con più parsimonia.                                                              

martedì 19 aprile 2022

Alma che visse in fondo al mare - Martin Rua

Doverosa premessa: questa non è una recensione, non nel senso più tecnico della definizione. Per un motivo molto semplice: non sono un critico letterario. Sono solo una persona che legge, non quanto vorrebbe, a cui piace discorrere di libri, soprattutto quelli che le sono piaciuti. Se leggo libri che non mi conquistano glisso, per due motivi altrettanto semplici: la bellezza sta negli occhi di chi legge. Banale forse, ma tant'è. Non detengo certo la verità universale. Inoltre,  un libro porta con sé una storia sotterranea di energie investite, tempo rubato alla famiglia, agli hobby o al cazzeggio. Quindi merita rispetto, a prescindere.

Quello che vi apprestate a leggere sono impressioni, sensazioni, che il libro mi suscita. Per le recensioni più tecniche vi rimando agli esperti del ramo.

Che io abbia un'ammirazione sconfinata per Martin Rua è risaputo, ma credete: non sono io di parte, è lui che scrive dannatamente bene. 
Dalla scrittura sapiente di Martin mi sono lasciata accompagnare a Procida, in una storia lontana dai thriller da tachicardia a cui mi ha abituata, ma immersa in una morbida storia di arte e cuore, dai caldi profumi di un'estate degli anni '60. I protagonisti due ragazzi, Alma e Napoleone. Quasi una dea lei per bellezza e intelligenza, giunta nell'isola che ha dato i natali a suo padre per una vacanza. Un artista lui, spesso accostato a Caravaggio per il suo grande talento ma in prestito all'attività di pesca del padre.
La magia del loro incontro si riverserà su tutta l'isola e non tarderà a sfiorare ogni suo abitante; non mancano il mistero, la magia, la superstizione e quella sfumatura di esoterico che ci accompagna tra i vicoli e le onde. Di pagina in pagina Procida si mostrerà in tutta la sua prepotente bellezza, non come semplice scenografia di una storia ma come personaggio principale. Sempre presente ma non ingombrante. 
La scrittura di Martin, poi, non ha bisogno di presentazioni: i tratti poetici a volte lirici delle descrizioni, le battute e l'ironia in punta di fioretto, metafore mai banali e linguaggio ricercato senza essere mai astruso, rendono la lettura scorrevole, un pizzico romantica e spesso divertente. 
Uno di quei libri che, un volta finiti, li si guarda già con un po' di nostalgia nel riporli in libreria

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...