giovedì 28 aprile 2016

riflessioni

Avere il cuore suddiviso in frammenti, non significa necessariamente avere il cuore spezzato. Anzi. 
Ho sempre detto di avere frammenti di cuore in terra sabauda. E due sono particolarmente grandi. Sono quelli che, pur condividendo lo stesso cielo, conoscendosi per il "sentito dire", hanno una sola cosa in comune: me. O forse no, in comune hanno il fatto di essere dannatamente importanti, per me. 
Mia Sorella, e l'Altra S. Facce diverse di un solo sentimento, che oggi si sono guardate, anche se solo per qualche secondo, negli occhi. Due mondi divisi che hanno girato entrambi per la stessa orbita, e che hanno permesso a me di dipingermi addosso un sorriso, quello un po' beffardo di un piano ben riuscito! Anche se non è stato semplice, che senza di lui poco avrei potuto fare. E lui ha fatto tanto. Anzi, ha fatto ciò che in famiglia si fa. Lei soffre, io chiedo aiuto, e Lui agisce. 
E così, come dice LauraLaGnocca, oggi è la giornata degli hip hip urrà. Perché ci sono margherite simpatiche, ci sono respiri finalmente sereni, ci sono altre attese nell'aria ma solo per cose belle. E allora mi godo questo momento, che ancora mi pare strano, ma che mi piace tanto. E sono felice. 
Ecco. 

e questa è per Voi due Sempre e per Sempre. De Gregori. 


martedì 26 aprile 2016

booh!

Fa freddo. 
Manca solo Bublè in radio e poi potrei cominciare a pensare ai regali di Natale. E no, non esagero. Sembra una di quelle giornate terse, invernali, dove ti dà l idea di qualcosa di primaverile (il sole) ma la temperatura ti ricorda chiaramente che l inverno è ancora qui e la merla è sempre in attesa dei suoi giorni. 
E poi sembra lunedì. Che lo so che è martedì, ma data la quantità di rogne e di musi lunghi sembra ancora lunedì mattina all alba. 
Insomma, per ora non è una gran giornata. Ho qualche pensiero a residuo, frutto del fine settimana. Pensieri che ancora non si sono completamente delineati, o che forse lo sono ma io non sono ancora pronta a leggerli per quello che sono. O, forse ancora, una parte di me si chiede: e una volta che li hai identificati, cosa cambia?
Ieri guardavo il secondo film della giornata, e ad un certo punto uno diceva "se tu liberassi la testa dalle tue ossessioni, ci sarebbe così tanto spazio vuoto che l'universo troverebbe la porta aperta e vi entrerebbe, Dio vi entrerebbe". Indipendentemente dal concetto di spiritualità di ognuno, il concetto di fondo è che si passa il tempo ad arrovellarsi su cose. Il più delle volte legate al passato. Trovo però farlocca l idea di poter dire "vivo non più del quotidiano" perché è farlocco. E non serve stia qui a spiegare il perché. 
Mah. Sarà che fa freddo. Che ho le mani gelate e non ho nemmeno più le mie sciccose unghie laccate. Sarà che manca ancora un'ora alla pausa pranzo e Brontolo è già nervosetto e io ho poca voglia di farmi influenzare dalle sue nevrosi. 
Sarà... 
ma che strano post... 

martedì 19 aprile 2016

Nostalgia...

La nostalgia è la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare.
(cit.)

Mi prende a tradimento. Quando abbasso la guardia, quando sono in astinenza da caffeina e da abbracci. Mi prende quando la ragione cede il passo a quella parte del cuore vagamente rintronata e rincoglionita che ancora si cincischia con l'unghia appuntita quell'angolino giù in fondo.
Mi prende quando Mari mi scrive che è triste, quando Pat mi fa ridere, la domenica mattina, fino alle lacrime. Quando l'Altra S. si stiracchia, lì in coda nel traffico della mattina. 
Mi prende ogni volta che provo a fare e rifare i conti e mi accorgo che non posso, e non ce la faccio. Sicuramente non a breve. E ogni cosa si dilata nel tempo più lungo e divento insofferente, io che amerei il tutto subito e adesso. 
Mi prende quando ripenso che l'ultima volta mi ha vista quasi scappare, con un trolley rotto e l anima a pezzi. Mi prende quando vedo una foto, un guizzo di colore, il profilo della Mole e un albero fiorito. Mi prende quando guardo il calendario, quando mi accorgo di un giorno di vacanza inatteso, quando passo sopra il cavalcavia della stazione e c è un treno fermo in attesa, al binario 3. 
Mi prende così. A tradimento. E mi resta addosso, intrecciata a qualche filo invisibile, intorno alla gola. 

martedì 12 aprile 2016

Happy!

Vi ricordate quel fumetto di Snoopy in cui, credo fosse Charlie Brown diceva che la felicità è il singhiozzo dopo che è passato?
Ecco, anche il primo giorno senza emicrania o periartrite alla spalla, non è affatto male. 
Ti fa notare il sole, l'aria profumata di primavera, le margheritine e i pelucchi dei pioppi come nevicasse. Ma tu te ne freghi, perché non ti sei imbottita di voltaren o triptano già dal mattino, a seconda della necessità. Non sei lì tutta presa dallo stare ferma perché se ti muovi ti vengono i dolori, non lotti con un martello pneumatico nel cervello e intanto devi sorridere simpatica ai clienti. Finalmente hai la forza di truccarti pure un po', toglierti la cera da mozzarella di bufala scaduta dalla faccia, e cantare a squarciagola una canzone di Gianni Togni mentre vai in ufficio. 
Insomma. Sono giorni in cui puoi fare pace con il mondo. 

mercoledì 6 aprile 2016

Post delle 11.01

Ho sempre pensato che quando inizi a riderci sopra, ad un fatto o ad una situazione che ti hanno ferita, si sia a buon punto per la guarigione. Un po' come quando le croste dei tagli iniziano a prudere facendo quasi solletico. "E' la pelle nuova che cresce sotto" diceva mia madre quando ero piccola. Se ridi sopra ad un dolore, deve essere il cuore sotto che si rigenera.
Stamattina, la mia amica Pat e io abbiamo avuto uno scambio di qualche battuta condite con stricnina e arsenico. E ce le siamo godute sogghignando bellamente. Il bersaglio della nostra ironia era "lui", oggetto del mio disamore. Ma poi non mi sono sentita in colpa, come spesso mi accade. Non mi sono sentita mortificata, perché in fondo due mesi fa ero davanti al Santo a ringraziare di averlo fatto uscire vivo da un incidente... E ora non gli tiro frecciate, ma direttamente tutto l'arco. 
Intorno alle 10.29 ho focalizzato questo pensiero: il disamore denuda. Spoglia l'oggetto del desiderio di quella luce irradiante di benevolenza, e gli punta un faro contro. O meglio, una luce pari al classico neon dei camerini dell'OVS, quelli che ti fanno vedere implacabilmente ogni più piccolo difetto, elevandolo alla massima potenza. 
Il punto è che quei difetti ci sono sempre. Sotto i jeans, nascosti da una maglia più larga. Quello che cambia è il punto di vista, l illuminazione e quanto peso si voglia dare ai suddetti. L'amore ammorbidisce la luce, la rende tenera e soffusa, copre come una sciarpa di seta sull'abajur le note più faticose. Regala riflessi caldi e morbidi. Il disamore è un neon 6000°k che ti sparano addosso una luce azzurrina e gelida. E non ti lascia scampo. 
Ma come può? un momento sei lì a ringraziare L'Eterno perché lui c è, esiste e fa parte della tua vita, e dopo un po' di tempo puoi riderne come si ride del collega rintronato. Allora non era amore? Era solo una proiezione della tua testa, era un'infatuazione, nulla di importante? Eppure giureresti che avresti potuto fare carte false, possibile fosse solo fantasia? 
O piuttosto, per tornare ad una metafora tanto cara alla zia Ester, anche la più bella e forte delle piante se resta senz'acqua, secca? Probabilmente è andata proprio così. Guardo l'orchidea che ho sulla scrivania, e poco per volta ha lasciato cadere i fiori, mi sono accorta che la morfologia del vaso non le permetteva di bere come aveva bisogno, e anche le foglie ne hanno risentito. Ma le radici sono ancora belle verdi, e se provo a spostare un po' il terriccio legnoso, c è anche un timido germoglio. 

lunedì 4 aprile 2016

Fotografie, piccole spie, pericolose... (cit.)

Ci sono "foto" e "foto".
Foto che ti arrivano, istanti regalati e condivisi che non tengono conto della distanza. Foto di attimi, di luoghi amati. Di momenti vincenti, di respiri di sollievo, di eventi indimenticabili, attesi sognati sperati, ma soprattutto voluti, voluti con forza e determinazione. E ora lì, presenti a manciate, tutte da vivere. Da fermare, in un clic che dice "ecco, c eri anche tu, in qualche modo, t ho portato con me". 
Ci sono foto che viaggiano in sordina. 
Quelle in cui inciampi. E lo sai, un po' come quando si sa che c è il gradino in quel posto, c è da anni, ma all'ultimo ti tradisce lo stesso. Un po' non le vorresti vedere, passare oltre. Un po' vuoi vedere, renderti conto, "sentire l'effetto che fa". 
Sono come le ultime battute di uno spettacolo teatrale più simile ad una farsa. Dove in fondo ad ogni battuta c è forse un fondo di verità, ma alla fine restano comunque battute, imparate a memoria da chi recita una parte, ed è capace di innumerevoli repliche. Lo sguardo dell'attore che pensi si posi su di te,  e parli direttamente alla tua anima, è frutto di studio e preparazione. Incrocia il tuo sguardo, ma potrebbe essere uguale ad altri mille, e non se ne accorgerebbe, perché preso dai propri gesti, dal battere del tempo, il giusto attacco della musica, ma soprattutto, quell'occhio di bue luminoso puntato su se stesso, al centro della scena. Vede tutti, ma non "sente" nessuno. 
Ma il bello di queste foto, è che ti regalano una rivelazione: quando ti dicevano "ci sarà un momento, in cui guarderai e non sentirai più nulla" e tu pensavi non fosse vero, che fosse solo per rassicurarti, un po' come si fa con i bambini quando gli si soffia sulla sbucciatura.
E invece no! C'è proprio un momento, diverso per ognuno, in cui guardi immagini e volti, e non senti nulla. 
Non provi nulla.
Un po' come quella parte della mia gamba dove hanno dovuto recidere il nervo. Sento poco nulla, forse un po' di fastidioso prurito alle volte, proprio sopra la cicatrice, quella sì resta. Ma nella maggioranza dei giorni te la dimentichi, e non ci badi più. 
Quando capisci, finalmente, quel gioco di sguardi non era autentico, non ci cadi più. Una volta capito il tempo della recitazione, delle assidue prove, i retroscena di un'interminabile monologo, la storia perde di pathos.
E spesso, l'unica cosa che resta, non è nemmeno una foto. Bensì una locandina che andrà ad ingiallirsi con il tempo, in fondo ad un cassetto. 

venerdì 1 aprile 2016

Mes Amies

Una delle tante cose belle delle Amiche è che ci sono. Non solo nelle situazioni di emergenza, ci sono sempre. Dal momento in cui lo stronzo di turno ti scarica in stazione al deposito bagagli, a quando metti in ordine l armadio e ti accorgi che alla fine della fiera non è rimasto molto da metterti e urge lo shopping compulsivo. Sono lì a ricordarti che non sei il caso clinico che ogni tanto (spesso) ritieni di essere, e che devi sempre e comunque fare dei passi avanti per la tua crescita personale, anche questo significa smettere di rispondere allo stronzo di cui sopra, che comunque ignaro dello status quo acquisito, ti scrive del più e del meno della sua vita (che della tua non è che si interessi molto).  Le amiche sono lì e sono le prime a risponderti affermativamente quando scrivi loro "se faccio sta cosa, per favore prendimi a mazzate". Perché quando c è da prendere a mazzate in fronte sono sempre disponibili. Poi sono quelle che però ti passano anche il ghiaccio da mettere sopra al bernoccolo. Sono le persone che per te hanno pareri e punti di vista, mai giudizi. Sono quelle che ti fanno una battuta e sanno farti ridere anche tra le lacrime. Sono quelle che ti mandano l'ecografia della loro Nocciolina, quasi in tempo reale.  
Sono quelle a cui confido in questo periodo. E che mi fanno sentire bene. 

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...