domenica 5 maggio 2024

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

 

Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue tele. 
E allora come nella Vocazione di San Matteo, i personaggi venivano colpiti da una lama di luce a cui era impossibile sottrarsi, così come avessimo tra le mani un Michelangelo Merisi al negativo, è un lampo di buio a investire i tre protagonisti di questa storia: Ciro, Michele e Mario.

È così che Vico Stella diventa Vico Nero. 

Nero come la fuliggine, la morte, l'inchiostro delle seppie. 
E dato che al proprio destino nessuno gli sfugge, e qualcuno se la trova scritta addosso da altri, la propria sorte: figlia dal luogo dove è nato, dai genitori che l'hanno messo al mondo o ve lo hanno cacciato, anche i nostri protagonisti si trovano a dover combattere con una vita che non hanno scelto. 
Perché non tutti nascono con l'opportunità di scegliere. O, ancora, quando i tagli dei colori sono così netti, quando fin da piccoli ci viene insegnato a convivere con il buio e le sue ombre, allora scegliere la luce non è così scontato. 
Tanto meno semplice. 
E allora Michele impara a viverlo, il buio. A diventarne padrone, perché il potere genera paura, e la paura è la cosa che conosce meglio, e può gestirla. Sa maneggiarla.  
Ben più dell'amore che da sempre gli è stato negato. 
Ciro invece ci combatte, con ogni sua forza contro il nero, la stessa con cui il bucaneve sfida il gelo dell'inverno per uscire a cercare il sole oltre la neve, la stessa con cui sopravvive il suo di amore. 
Ma, quando sembra la fine, in quel buio ci precipita perché nessuno si salva da solo, specie se si ama così forte e non si sa cosa significa essere amati a propria volta. 

Ma è un libro d'amore, questo? 
No. 
O forse sì: dell'amore mancato, dell'amore ignorato, mai donato, dell'amore sacrificato e ucciso. 
Dell'amore assente. 
Assente dalle strade, dalle mura di casa, dalle vite dei bambini costretti a crescersi da soli, dal volto di una maestra che non accarezza ma deride. L'amore spacciato per tale, che non dona nulla se non sangue e un livido da aggiungere ai precedenti. 
L'amore sacrificato perché renderebbe deboli davanti al potere, e si sa: amore e potere non fanno rima.
Mai. 
L'amore che piega la testa davanti alla morte, e si rassegna a cederle il passo. 
Non solo nei vicoli bui, ma anche nelle vite nere. Quelle costruite sull'apparenza, quelle che nascondono le perversioni in fondo all'armadio come la polvere sotto ai tappeti e brillano di una luce che non gli appartiene. 
È un libro di dolore, con le pagine che ti restano addosso anche dopo che, a fatica, lo riponi sul comodino. 
Perché se è vero che è il dolore che ci fa crescere e ci insegna qualcosa, da quando avremmo affrontato la prima pagina e poi avremmo voltato l'ultima, a quel punto volenti ma soprattutto dolenti, non saremo più gli stessi. 

È un libro che dipinge una realtà che ci sembra così dannatamente lontana dalle nostre vite imperfette, certo, ma mai così fuligginose. 
Una realtà che sembra non appartenere a noi e che di delitti e di pene siamo abituati a sentirne parlare solo attraverso una cronaca essenziale, il tempo di un servizio del TG, e tanto ci basta per ergerci a giudici. E abbiamo imparato a condannare da buoni borghesi a cinquemila anni, più le spese.
Incapaci di andare oltre gli istanti che segnano solo l'epilogo di una storia, e ignorando o peggio, disinteressandoci sul come questa abbia avuto inizio.
Da quale tana invasa dal buio siano usciti quei volti. 

Ma è anche la storia dell'amore salvifico, quello che tende una mano nella disperazione ed è capace di riportare a galla. 
«E cosa siamo?»
«Siamo due pesci pieni di un nero che non ci lascerà mai, ma pure con una voglia di blu che ci circonda e che, forse, ci tiene a galla»
«Come due seppie in altro mare?»
...
«Sì, come due seppie in alto mare, piene di nero e in mezzo al blu.»



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