lunedì 24 giugno 2013

Non troppo bene grazie... e tu?

 
 Morgana non sta bene... 
Venerdì ce la siamo vista un po' brutta... e al momento le cose non vanno molto meglio. Nel senso... niente di incurabile, ma se non ricomincia a mangiare quanto prima i problemi aumenteranno invece di diminuire... e allora... 
Ieri ci sono stati numeri da circo a casa di Mamma di SyS. Prima bisognava lavarla, poi iniziare la terapia che comprende antibiotico e gastoprotettore... 
Sì. certo. come no. 
Avete mai provato a dare una pastiglia ad un gatto? ecco... immaginate poi un gatto di oltre nove chili. 
Vi giro questa cosa che gira in rete, giusto per riderci un po' su va... e speriamo che domani vada già meglio. 

  • Prendi il gatto e tienilo con il braccio sinistro, come se stessi tenendo un bebè. Metti l'indice ed il pollice nei due lati della bocca del gatto. Spingi leggermente finché non apre la bocca. Appena riesci a fargliela aprire mettigli la pillola in bocca. Lascia che il gatto chiuda la bocca ed ingoi la pillola.
  • Vai a raccogliere la pillola da terra e riprendi il gatto da dietro al divano. Incastralo nel tuo braccio sinistro e ripeti tutto da capo.
  • Vai a riacchiappare il gatto nella camera da letto e butta la pillola che è nel vaso.
  • Prendi una nuova pillola, riprendi il gatto con il tuo braccio sinistro e tieni le sue zampe posteriori con la tua mano sinistra. Forzalo ad aprire la bocca e spingi la pillola nella sua gola con l'indice. Chiudi immediatamente la bocca del gatto e conta fino a 10 prima di lasciarlo.
  • Riprendi la pillola da dentro l'acquario ed il gatto da sopra l'armadio. Chiedi aiuto a tuo marito.
  • Inginocchiati per terra e tieni il gatto con forza tra le tue ginocchia, ricordati di tenere le sue quattro zampe. Ignora i grugniti emessi dal gatto. Chiedi a tuo marito che tenga con forza la testa del gatto, mentre tu gli apri la bocca. Metti una spatola di legno nella sua bocca, il più giù possibile. Lascia scivolare la pillola sulla spatola e massaggia vigorosamente la gola del gatto.
  • Riprendi il gatto che sta attaccato alla tenda della stanza e vai a prendere un'altra pillola. Ricordati di comprare una nuova spatola e di cucire la tenda. Avvolgi il gatto in un asciugamano in modo che ne esca solo la testa. Chiedi a tuo marito di tenerlo fermo così. Sciogli la pillola in un po' d'acqua, apri la bocca del gatto con l'aiuto di una matita e butta il liquido nella sua bocca.
  • Guarda nel foglietto illustrativo del medicinale se questa pillola è nociva per gli uomini. Bevi un po' d'acqua per cercare di calmarti. Passa un po' di disinfettante sul braccio di tuo marito, fascialo e pulisci le macchie di sangue sul tappeto con acqua tiepida e sapone.
  • Vai a riprenderti il gatto dal vicino. Prendi una nuova pillola. Butta il gatto nell'armadietto della cucina e chiudi lo sportello, lasciando la sua testa di fuori. Apri la bocca del gatto con un cucchiaio. Lancia la pillola nella bocca del gatto con l'aiuto di un elastico.
  • Vai in garage a prendere un cacciavite per rimettere lo sportello dell'armadietto della cucina a posto. Metti dei fazzoletti di cotone con ghiaccio sui graffi del tuo viso e cerca tra i tuoi documenti la data dell'ultima volta che hai fatto l'antitetanica. Butta la tua camicetta e vai a mettertene un'altra.
  • Chiama i pompieri per riacchiappare il gatto sull'albero dall'altra parte della via. Chiedi scusa al vicino che si è fatto male nel tentativo di scappare davanti al gatto in fuga. Prendi l'ultima pillola della scatoletta.
  • Lega le zampe posteriori del gatto a quelle anteriori con una corda e fissale ad una gamba del tavolino della camera da pranzo. Mettiti dei guanti da giardiniere. Apri la bocca del gatto con una piccola chiave inglese. Mettici la pillola con un pezzettino di filé mignon. Tieni la testa del gatto in verticale e buttaci mezzo bicchiere d'acqua per aiutarlo ad ingoiare la pillola.
  • Chiedi a tuo marito di accompagnarti al pronto soccorso più vicino. Siediti tranquillamente, mentre il dottore ti ricuce le dita ed il braccio e rimuove parte della pillola che ti è rimasta incastrata nell'occhio destro. Fermati al primo negozio di mobili che incontri mentre torni a casa dal pronto soccorso ed ordina un nuovo tavolino per la tua camera da pranzo.

venerdì 21 giugno 2013

... e mi addormenterà, dalla parte del cuore...

Soffia vento da Nord Ovest.
Il Maestrale fa danzare le canne di bambù della campana a vento, e la siepe di gelsomino regala onde di profumo.
Serata casalinga, ma lontana dal divano, dalla tv che ripropone sempre gli stessi ritornelli. Serata di parole. Seduta sul bagarozzo dell'aria condizionata (che ovviamente non funziona) nell unico terrazzino di casa accessibile dal bagno, con il telefono all'orecchio (non ho ancora trovato un degno sostituto dell'auricolare pucciato nel cappuccino) a intrecciare parole e risate, a parlare di Einstein e Leopardi, di mare e Parenzo, di sociologia e caramelle da fiera.
E poi ancora. 
Ad accompagnare a casa Lui, che guida tra stanchezza e un po' di scazzo, ma ride della mia voce assonnata. 
Prendere possesso della casa non significa solo pagarne l'affitto e metterci dentro i mobili. Significa riempirla di attimi. Attimi che vivi e che trattieni tra le mani. Prenderne un pezzetto per volta e viverlo. Anche dove non pensi, dove le riviste di arredamento non ti spiegano come farlo al meglio o nel modo più funzionale. Lasciarsi asciugare i capelli dal Maestrale, non tenendo conto della piega che prenderanno i ricci una volta schiacciati sul cuscino. Lasciare andare. 
Che il tempo scorra senza dover necessariamente pensare di fare. Condividere, semplicemente. Anche un discorso senza senso, una differenza dialettale, un idea di vacanza o il desiderio di una birra fredda. Lasciare andare, bearsi di quella luna lassù che sembra piena ma non è, del gelsomino e della campana a vento, del mio oleandro color pesca, new entry nella mia vita quest'anno. Concedersi il lusso di pensare che se anche lasci andare il controllo delle cose, le cose vanno lo stesso. E non è detto che vadano "peggio". Viversi l attimo esattamente per quello che è. Senza la creazione di un carico di aspettative irragionevoli che schiacciano gli attimi sotto il peso di un futuro che mica sai se mai arriverà. 
E allora una sera, passata al telefono, seduta sul bagarozzo dell'aria condizionata (che ovviamente non funziona), diventa una di quelle sere di inizio estate che ti ricorderai. 

mercoledì 12 giugno 2013

La posta del cuore...

Oggi leggevo: Certo che merito qualcosa… amare è “qualcosa”! Sentirmi felice, sorridere mio malgrado, sentire il vento nello stomaco… sentire che potrei fare qualsiasi cosa per lui, anche una follia… Sentire che è nella mia testa e nel mio sangue e che circola nel mio corpo spadroneggiando… e adorare queste sensazioni perché mi fanno sentire viva e donna. C’è un prezzo da pagare, ne ho coscienza, a volte sono a pezzi, insicura e febbricitante, con la paura di perderlo, con la paura che il bel gioco sia finito, ad aspettare come una cretina un gesto che non arriva finché la rabbia e la delusione mi invadono scorticandomi…”
C’è da pensare. O meglio. Mi ha fatta pensare questa frase. Soprattutto nella parte “c’è un prezzo da pagare, ne ho coscienza, alle volte sono a pezzi…” ecc. e io mi sono chiesta: ma perché? Ma per chi?
Per avere le farfalle nella pancia, ammesso e non concesso siano frutto dell’amorrre e non degli arancini di Adelina, non per sentirmi “amata” (in queste parole chi scrive non parla di sentimento ricevuto, bensì solo per quello dato) per il "privilegio" di “amare” la contropartita è un dolore alle volte atroce.
Ma dove sta scritto? Mi piacerebbe il punto di vista di un uomo, perché noi donne si cresce con questa cosa delle fiabe che per essere trovate dal principe azzurro dobbiamo mangiarci mele avvelenate, trapassarci con un fuso e dormire secoli, diventare colf di un trio di megere, rinunciare a code e voci... insomma. Un branco di sfigate. 
Ma perché deve essere così anche fuori dalle favole? Perché l’amore per la maggior parte delle donne, per giungere al suo trionfo dovrebbe farci pagare un prezzo? E il prezzo è il fatto che il lui di turno spesso non chiami, non scriva, ci tenga sulla corda, arrivi e si conceda così, calandosi un po’ dall’alto con scuse tipo “nel fragore dei miei assordanti silenzi, in questo dolore che mi attanaglia i pensieri, non mi riusciva proprio a volgere il guardo su di te, mia musa, mia consolatrice… la vita mi opprime ma è il pensiero/ricordo della tua grazia* (*non tutti la chiamano marmotta n.d.A.) a permettermi di volgere ancora uno sguardo, se pur di sfuggita al futuro”. 
A livelli più pratici ti scrive un sms più simile a “scusa, sono impegnato, ti chiamo tra un po’ appena mi libero. Stai serena”. E quel “tra un po’” è un unità di tempo in assetto variabile tra i cinque minuti e il mese e mezzo. E noi non è che ci venga mai da pensare “è uno stronzo”. Pensiamo: “poverino… ha dei problemi così… così… profondi e complessi che non mi vuole turbare, mi preserva dal suo stesso dolore… lo porta con sé… in fondo al suo cuore pur di non farmi soffrire a mia volta…” quando il più delle volte ha semplicemente finito la ricarica del cellulare.

Perché?
Perché poi, siamo pure di memoria corta… basta che lui sorrida, ci dica due parole in croce e tac… lo vedi? A modo suo ma mi ama. E giù di brodo di giuggiole.  
A modo suo quale? In corrente alternata? E ce lo facciamo bastare! 
C’è stato un tempo in cui, per usare le parole del Fratellone, io ero il burro fuso della coppia. Quello che viene assorbito dal pane, e assume la forma della fetta che l assorbe. Non ha più una forma propria. Vivevo in funzione di.
Poi ho incontrato una Persona che mi ha stupita. E riesce tutt’ora a sorprendermi: non si nega al telefono. Risponde quasi sempre. E se non può farlo manda un messaggio specificando perché e dice quando richiamerà. E non tarda “quasi mai”. (che poi… sarebbe pure alla base di quella che si chiama “Buona Educazione” concetto assai vintage, ultimamente).
Nel tempo che ha condiviso il suo cammino con me, Lui non ha mai dato per scontato che io fossi lì ad aspettare un suo cenno. Mi ha sempre preceduta. Questa Persona lo fa anche oggi, con modalità diverse, anche se la situazione è cambiata.  Quindi, le persone in grado di “dare” di metterti al centro del loro universo ci sono. Esistono. E se ripenso a quel/questo periodo, io ho la sicurezza di non aver dovuto scalare il Cornela per fargli capire che “meritavo” il suo amore. Mi ha fatta sentire amata, io ho amato lui e bon. Non c ho trovato (e non ci trovo) nulla di particolarmente faticoso, non ho dovuto superare un esame per capire se “meritavo” le sue attenzioni. E io non l ho mai “messo alla prova”. (più spesso gli ho rotto le palle ma è nella mia indole, ormai se n è fatto una ragione).
Mi si scrive ancoraForse non mi merita, è probabile, forse non mi ama altrettanto… come posso pesare e misurare i sentimenti di un’altra persona?” Pare brutto… ma secondo me si può, e si deve, soprattutto. Si misura con i fatti. Quelli che dovrebbero seguire alle parole. Si fa presto a dire Ti Amo. È tutto quello che c è dopo che fa la differenza, e spesso è complicato. Indipendentemente dal rapporto che si ha. Secondo me sono i fatti. E non parlo di gesti plateali, parlo di dare corrispondenza a ciò che si dice con ciò che si fa. E le persone che non ci danno le attenzioni (il minimo sindacale per lo meno), che nonostante sappiano quando ci faccia male l indifferenza non spostano un minimo il loro atteggiamento, si devono chiudere fuori. 
Non è un sintomo di egoismo, è un sintomo di amor proprio. Secondo me.


Insomma… le mie domande sono:
  • ·      Anche lor signori si arrovellano su questi pensieri?
  • ·  Perché non chiamiamo le cose con il loro nome, cioè perché ci ostiniamo giustificare un tizio dicendo che è sofferente complesso e problematico, quando in realtà è semplicemente stronzo?

mercoledì 5 giugno 2013

qui l empirismo è di casa...

Sys prende in mano il telefono e chiama il consolatore della sua anima afflitta... 
Sys: ESSSEEEEEEE...  una catastrofeeeee!!! ho pucciato l'auricolare nel cappuccino... 
Altra S.: nooooooo ... e funziona ancora?
Sys: mah... la lucina si accende e si spegne... la sciura dentro dice on off... ma non si connette... cioè... ci prova ma non ce la fa...
Altra S.: ma... l hai asciugato?
Sys: eccerto... 
Altra S.: e prima l avevi risciacquato in acqua?
Sys: sotto l acqua corrente dici? ma no... così l ammazzo del tutto la sciura no?
Altra S.: allora... devi sciacquarlo. da spento e poi asciugarlo bene... 
Sys: sicuro? cioè... apro il rubinetto e .. 
Altra S.: sicuro... 

Sys procede... del resto... si fida... eccerto... eccome se si fida... 
Sys: ESSSSSSSSSEEEEEEEEEEEEEEE... un disastro. 
Altra S.: perché?
Sys: adesso manco s accende... la sciura non dice più on off... è morta. annegata... 
Altra S.: ma no. è impossibile. 
Sys: sarà pure impossibile. allora l impossibile è qui... nel mio ufficio. 
Altra S.: hai provato a metterlo in carica? si accende? lampeggia qualcosa... ? 
Sys: nu... (con vocina tremolante ad un passo dal pianto)
Altra S.: ma no.... è strano. perché risciacquandolo hai tolto lo zucchero che è corrosivo quanto il sale, e quindi.. 
Sys: ma il cappuccino era amaro... non c ho messo lo zucchero dentro... 
Altra S.: ah. e non potevi dirmelo prima?
Sys: ...

lunedì 3 giugno 2013

la sciatica del venerdì sera.

Le amiche sono una salvezza. 
L'ho sempre detto, sempre pensato. 
Di amiche/ci ne ho davvero pochi, non sono per le grandi compagnie, nel senso che preferisco avere poche persone su chi contare ciecamente, che 365 mila "amici" su fb e poi non sapere nemmeno a chi chiedere un fazzoletto nel caso sternutissi. 
Per dire. 
Ad ogni modo, le amiche sono pure quelle che ti salvano da uno dei venerdì sera più tragicomici della tua esistenza. Quello dove, quasi ogni donna single cade prima o poi: quello dell'appuntamento al buio. Quello dove esci un po' per curiosità, un po' pensando alla menopausa che avanza, che sono le ultime cartucce che puoi sparare... insomma... sull onda di questo positivismo cosmico. 
Lui è un "collega". Nel senso che lavora nel mio ambiente, da un annetto circa ci si sente via telefono anche più volte al giorno per dinamiche d ufficio. E' qualche mese che la butta lì, che vuole offrirmi una cena, portarmi fuori, incontrare la proprietaria di sta gran bella voce... Mi piglia per stanchezza (giuro... non è che avessi l entusiasmo alle stelle, il mio quinto senso e mezzo sussurra spesso al mio orecchio, e difficilmente sbaglia) e dico di sì. 
Sono le 8.30. Scende dalla macchina e già sono un filo perplessa. Ora, non sono proprio alta, e mi sono sempre rapportata a uomini dal metro e settantacinque in su. Trovarmi a dovermi piegare un filo sulle ginocchia per salutarlo (avevo tipo una zeppa 10) lo trovo anomalo. Ma L. La Gnocca non ha fatto altro che ripetermi "magari è un ragazzo ricco di valori e di buoni pensieri, non molto alto ma con un gran cuore". 
Arriviamo in pizzeria e la prima cosa che mi dice è: "te prego... no camminare che ho un ginocchio rotto... non ho più l età per giocare a calcetto... guarda.. un dolore.. un dolore che non puoi capire..." 
"ehm... magari sì.. capisco..." "no no no.. te o garantissso mi, no te poi capire... un maeeee" e già passiamo al dialetto schietto con tipica cantilena. "Ma pure caminare su sto robo qua (il robo è il porfido, N.d.A.) varaaaa un maeeeee... no te poi capire...." Al sesto "no te poi capire" rispondo "ho due placche di titanio e nove viti che mi attraversano la tibia, guarda... forse ne ho una vaga idea...". 
Ma si sa, le confidenze creano confidenza, quindi il suddetto si lascia andare. Toglie ogni freno inibitore e si rivela in tutto il suo splendore: "An ben, me piase sto locale... beo. Siccome che a me mi piacerebbe tanto avere un locale così... è il mio sogno da quando che sono tornato dal militare". 
Deglutisco. Arriva il cameriere con il menù... "cosa mangio io stasera? mah... prosciutto e funghi? no... i funghi a me fanno proprio cagare... oh ma scusa eh... mio parlo così, sono un ragazzo alla bona" e ride... ecco... quando uno così arriva a dirmi "scherzando ovviamente" che il suo hobby preferito è la partita in tv e la gara del rutto libero, nutro il drammatico presentimento che non di scherzo si tratti. 
Vi risparmio la storia commuovente dell arrivo in famiglia del suo splendido Iphone 5, di quanto meravigliosa sia la mamma con cui vive... di quanto amore abbia per la cagnolina che ha (ma che tiene la ex fidanzata che sta in collina così sta fuori da i co@@ni) e che presto le farà fare i cuccioli (miga par altro, ma mille euro a can, te vorrè miga dire...) il tutto condito con tutte le varianti della parola minchia in sinonimi e contrari come se piovesse. 
Ora, non sono certo la Contessina Mascetti... ma almeno al primo appuntamento... per lo meno ci si prova via...
Alle 9 e mezzo ho già lanciato un grido di aiuto su fb, "amiche toglietemi di qui". E subito risponde R. La Rossa, con un sms: "mi duole il cuore disturbarti, ma sto malissimo e ho bisogno tu mi venga a fare un iniezione... SUBITO". E come si può no rispondere al grido di aiuto di una seppur finta sciatica?
Dolorosamente concludo la cena e con il cuore affranto sono mio malgrado costretta a salutarlo per correre al capezzale dell'amica che non può fare a meno di me. 
Un ultimo sguardo prima che risalga in auto: (ammetto che non l ho nemmeno guardato più del dovuto.... io che amo osservare i dettagli ricordo meglio il viso del cameriere...) ha i pantaloni abbassati fino a quasi metà natica, cosa che reputo tollerabile fino ai 17 anni, che a 17 e mezzo sei già troppo vecchio e ad un passo dal diritto di voto. Figuriamoci a 33.
Davanti a tutto questo anche i calzini bianchi di Alberto Angela sono un dettaglio del tutto trascurabile. 

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...