Mio Padre e mio nonno andavano a pesca.
Un paio di volte ci sono andata anche io, e mi sono annoiata a morte.
Avevo sì e no forse 4 o 5 anni, e già l'idea di toccare un verme mi schifava abbastanza, non capito l'utilità di stare lì, seduta ferma ad aspettare che qualcosa di viscido e guizzante si mangiasse il suddetto. Il tutto in sacro silenzio "se no li spaventi" e io mi chiedevo dove avessero le orecchie, ma soprattutto, che avessero di brutto le mie risate da spaventare una trota.
E poi non accettavo il fatto di vederle infilate nel sacchetto "dee strighe", delle streghe come mia nonna chiama il sacchetto del supermercato. Mettevano i pesci nella borsa, poi prendevano un altro verme e di nuovo la filosofia zen dell'attendere il passaggio del pesce successivo. Nel frattempo il primo era lì che si dibatteva.
Poi si fermava.
Poi si dibatteva.
Poi si fermava di nuovo.
E io vedevo quest'agonia, e andavo verso l'acqua, ne raccoglievo un po' e correvo verso la borsa, lasciando cadere quella poca che restava nell'incavo delle mani, addosso alla malcapitata. Che guizzava. Prima di fermarsi di nuovo, e così rifacevo il percorso centinaia di volte, in sacro silenzio per non spaventarla più del dovuto, ovvio. I miei spruzzi di acqua erano piccole boccate di ossigeno, alla fine in qualche modo riuscivo a riempire abbastanza la borsa perché il pesce si rianimasse, con mio nonno che si incazzava e mio Padre che rideva.
Sono giorni in cui mi sento Trota.
Mi dibatto tra il mio dire ed il mio fare, tra lo scazzo e la poca pazienza. Prendo boccate di ossigeno da spruzzi di energia che hanno la parvenza di cambiamento, e pare che invece no.
Alle volte mi piacerebbe stupirmi.
Davvero.
Vorrei rimanere sorpresa da un qualcosa, da un evento, così tanto da restare a bocca aperta. Da sentirmi mancare il fiato per l'emozione mentre il cuore corre come Furia Cavallo del West attraversando la prateria dei miei sogni.
Ed invece, a volerla proprio dire tutta, sono anni che ciò non avviene.
Anni.