giovedì 31 marzo 2016

ci vuole una penna...

Ecco, oggi invece è uno di quei giorni in cui scriverei in continuazione, e ovunque. Manderei mail a chiunque avesse voglia di leggerle, messaggi e cartoline. L'invito ad una festa, il programma di una gita, la trama di un film. Oggi scriverei di tutto, con la penna dall'inchiostro fuxia con i brillantini. Scrivere parole scintillanti e appariscenti, parole a cui non piace restare chiuse in un foglio di carta sotto il peso di una copertina. 
Scriverei delle risate fatte al telefono, di chi mi chiede con insistenza "come stai?" e non smette finché non gliela dici proprio tutta che mica ti crede al primo "non c è male dai". Scriverei dello stupore nell'incontrare parole scritte da un uomo che pare uscito da altri tempi, del tono stanco di Chi le parole se le inventa tutti i giorni, per poter far quadrare conti sfuggenti. 
Oggi scriverei lettere su carta, la lista della spesa ma solo con le cose buone, scriverei del profumo di biscotti, disegnerei cuori e cuoricini, sorrisi imbarazzati e di uno sguardo carico di speranza. Scriverei di una Torre, lì ferma che aspetta l'arrivo di Chi si sfida e si mette alla prova, che anche se non mi sentirà, lo sa che sarò lì a fare il tifo e dirgli di non mollare anche quando il fiato si sarà fatto corto. 
Oggi scriverei di tutto, ma solo di cose belle. 

Cose così

Ho passato le vacanze di Pasqua a mettere in ordine casa. Anche le mie stanze hanno risentito del mio umore ballerino, della mia malinconia e della poca voglia di fare. Non solo la polvere, ma anche gli oggetti si sono trovati in collocazioni di fortuna, fuori posto, fuori dal mio schema mentale che già di per sé è anomalo. Ho buttato un paio di sacchi di roba inutile, e ne ho altrettanti di vestiti e lenzuola da regalare alla caritas. Spesso comprare "cose" è come mangiare marshmallow, serve a riempire spazi lasciati vuoti all'improvviso, e poi ti ritrovi cassetti pieni, e la pancetta che trasborda dai jeans. E si corre ai ripari. O, almeno nel mio caso, si cammina lestamente in cerca di soluzioni. Trovare la scrivania, sotto la montagna di roba da stirare che c'era sopra, mi ha fatta riflettere sul mio computer, sugli appunti di un racconto a cui stavo lavorando e un'altro iniziato come terapia psicologica post "scaricamento in stazione", contemporaneamente avevo già le scarpe da ginnastica e il tutore per ginocchio pronto, per tornare a camminare. Ho messo gli appunti in un cassetto e sono uscita. Mentalmente scrivo. Scrivo mentre cammino, mentre mi isolo dal mondo e procedo a passi veloci ascoltando musica, e cercando di non ascoltare le urla dei miei muscoli che annegano nell'acido lattico. Ma non riesco a mettermi lì, alla scrivania. Non riesco a chiudere il mondo fuori e a concentrarmi su una vita parallela ed inesistente a cui potrei dare una forma. Sembra un controsenso, ma mi piace isolarmi dal mondo stando dentro al mondo. Forse perché quest'ora di luce in più mi fa guadagnare aria, forse perché i miei muscoli che urlano in questo momento hanno la priorità. Forse. Forse perché vorrei pensare più alla mia vita che a quella dei miei personaggi. E ho focalizzato che poi non riesco nemmeno a godermi davvero il tempo in cui leggo. Perché penso che dovrei scrivere invece. Poi se mi metto a scrivere mi sento in colpa perché dovrei fare mille altre cose che non ho il tempo di fare quando sono al lavoro. Anche giocare con Melli. Ci sono volte che la guardo e penso che ha 18 anni e non so quanto tempo abbiamo e penso alle volte in cui mi faccio gli affari miei, escludendo anche lei, e quanto mi mancherà poi.
Voglio smettere di sentirmi in colpa perché non riesco a fare tutto quello che "dovrei". Voglio fare solo quello che mi va di fare, nel momento in cui posso farlo senza scadenzario sempre alla mano. A quello devo sottostare già quando sono in ufficio. Non voglio costringermi anche nel tempo libero, che è sempre troppo poco sempre sfuggente e non mi basta mai. Ho appena letto il mio oroscopo di oggi, e mi dice che sto iniziando a rompere delle catene forgiate nella mia mente, e questo mi rende più intrigante e attraente... chissà se è vero.
Voglio scoprirlo. 

martedì 29 marzo 2016

sgrunt

Rosi l'altro giorno mi ha detto che io non sono acida. O meglio, non lo sono sempre. E' che mi riesce piuttosto spontaneo e naturale simularlo. Che secondo me è la stessa cosa. 
E infatti oggi non è che sia proprio a cuor leggero, anzi, ci sono pensieri non meglio identificati, o forse sì, che se stuzzicati potrebbero rendermi irritabile. Ci sono post che ho letto in giro che mi fanno cadere le braccia e venire il veleno. Non parliamo del fatto che cerco di passare radente al muro senza incrociare lo specchio che è meglio... più che fiorire le gardenie, qui fiorisce la panza. 
Non ultimo ieri, mentre cercavo di dare un senso all'armadio, che senso proprio non ne aveva, analizzavo il mio rapporto con la scrittura, con l'ambizione, e i miei desideri. 
E poi le aspettative, brutta cosa le aspettative. Però se vogliamo si incrociano spesso con i desideri, e non è sempre facile intuirne il confine, piuttosto labile a volerla dire tutta. Insomma, mi sento come mi sentivo aprendo il quaderno davanti ad un espressione di matematica, con tutte e tre le parentesi, con frazioni, radici quadre, e incognite. Soprattutto incognite e di più di un tipo, per giunta. Ecco, proprio quella faccia lì. 
E non so mica se sia un buon segno. 


martedì 22 marzo 2016

Ho le voglie...

C'è che ho voglia di mare. Prendere la macchina e andare. Un cd come si deve nell'autoradio, gli occhiali da sole come uno scudo e andare via. 
C'è che ho voglia di sole, dell'odore delle reti da pesca, di un bicchiere di vino bianco, quello della casa, servito in una caraffa di coccio, ma freddo e frizzante. 
C'è che ho voglia di sedermi su uno scoglio e guardare le onde, e ascoltarne i racconti. Ho voglia di sentire un brivido perché il sole m'ha ingannata e ho lasciato la maglia chissà dove. 
C'è che ho voglia di fermarmi nell'incavo del collo di un uomo, e respirarlo. E che non mi faccia parlare troppo, magari il giusto sì, ridere di gusto, che non mi chieda troppe cose, ma che mi prenda. Le mani, le spalle, i pensieri. Facesse lui. Ma si facesse respirare. 
Ho voglia di svegliarmi senza la sveglia, sentire profumo di caffè, il cuscino che profuma di dopobarba (non il mio... simpaticoni!) e una giornata da inventare senza fretta. C'è che ho voglia di guidare, camminare e fotografare. Fermare l'attimo, la luce, il paesaggio, un sorriso o una scena causale. Ho voglia di perdermi e chiedere informazioni con una cartina geografica in mano, magari rovescia. Ho voglia di un mazzo di tulipani per la cucina, di biscotti fatti in casa, di riprendere in mano quel testo che ho lì nel cassetto, di camminare scalza, di fianchi da circondare con le gambe, di un biglietto del treno, di stabilire un contatto, ricevere un messaggio inatteso, di andare al cinema e commentare il film, e di fermarmi anche, ma solo perché mi va. 

venerdì 18 marzo 2016

In vino veritas

Gli oggetti non sono ricordi.
Gli oggetti aiutano a ricordare. Ma sono oggetti. L'essenza di ciò che ci ricordano è altrove. E', teoricamente, dentro di noi. Il problema è che siamo smemorati, alle volte intasati, da una marea di informazioni che finiamo per mettere tutto in un calderone. Un po' come fai con le bollette e i volantini che si recuperano dalla cassetta delle poste. Che le porti in casa, le appoggi su quella mensola e dici "poi metto via" e passano i giorni, non sai più quanti ma te lo ricordano i solleciti di pagamento.
Gli oggetti non sono ricordi, ma ci parlano di ciò che è stato. Ci aiutano a ricordare. Ho una scatola in armadio, con i gattini in foto buffe. E dentro c'è l'anno più difficile, intenso e bello che forse abbia mai vissuto, 5 anni fa. Dentro ci sono quelli che furono i nostri sorrisi, le nostre carezze e i nostri pensieri, e anche piccoli scherzi. Quelli che ti fai e ridi un po' come con il solletico sotto le lenzuola. E' in armadio, vicino ai maglioni delicati. Quelli che usi nelle occasioni importanti e rare perché non vuoi rovinarli.
Qualche giorno fa, invece, nello stanzino, invece, ho messo tre bottiglie di vino vuote. Prima erano in cucina. Facevano da sfondo ai bicchieri a coppa, finché non mi decidevo a metterli in lavastoviglie e dire a me stessa che IL giorno, quello tanto atteso era passato. E le guardavo, con quella faccia più o meno da ebete, aspettando l’incontro successivo, e la prossima bottiglia.
Ora sono tutte e tre nello stanzino. Per la precisione vicino alla lettiera di Melli. Che non è proprio il posto migliore dove conservare dei ricordi, a ben vedere.
Ma è una sorta di limbo. La rappresentazione visiva di quel che si chiama "pausa di riflessione". Che lo sai come sarà, sai già che vuole dire fine. Ma è un concedersi del tempo di assestamento dopo la scossa, o lo scossone. La pausa di riflessione è in realtà la pausa che ti serve a metabolizzare ciò che già sai. E la lettiera della Melli si apre a cento più una metafore. Volendo.
E quindi le bottiglie. Ieri guidavo nel traffico, senza la mia consueta telefonata e sentivo nelle orecchie rumore di vetro che si rompeva. Immaginavo cocci. Un pensiero che mi raggiunge prima sotto forma di suono: tre suoni distinti di bottiglie di vino che finivano in pezzi, e solo poi, in seguito, l’ immagine. Cocci che si mescolavano ad altro vetro, a ciò che restava di un barattolo di sugo e un vasetto di vongole veraci.
Gli oggetti non sono ricordi ma in qualche modo ne catturano l'essenza. Alle volte puoi riciclarli e regalar loro una nuova vita. Altre volte è meglio eliminarli, fare spazio. Cacciarli con forza dentro al bidone del riciclaggio e godersi lo schianto, magari con un sorriso altrettanto ebete, ma un filo più consapevole.
Credo che questa volta opterò per questa seconda opzione. 

lunedì 14 marzo 2016

Cardiologia

Insomma. 
Il cardiologo a momenti mi fa fare testamento. Per fortuna il Doc mi rassicura. Mi dice che con sto cuore dovrò vivere e morire e bon. Ci si aggiorna tra qualche anno. 
Certo sì, ha riscontrato che è un po' malconcio. E' stato rattoppato in più punti, c è un taglio netto che ancora sanguina. Che poi fa la crosticina eh, lo lasci lì a riposo e lui si rimargina. Poi comincia a prudere e io non riesco a non grattarmi, lo facevo pure quando mi sbucciavo le ginocchia pattinando. Mi gratto e ricomincio a sanguinare. Occorre sputarci sopra.
Nel senso, Zia Fedora diceva che la saliva è disinfettante, "che mica s aveva tutta questa roba ai tempi di guerra eh". Un graffietto? slap. Sputacchietto spalmato e ritornavi a correre. Poi non ho mai capito quella roba di toglierti un baffo di latte e nesquik leccandosi il dito prima di strofinarlo energicamente sulla faccia. Ma credo che certe cose debbano restare misteri d'altri tempi. 
Al cuore non si riesce a sputarcisi sopra. Quel taglio sanguina di cose credute, di foto, di parole e di attimi condivisi. Alle volte penso che c abbia già sputato sopra la controparte, almeno uno dei due dovrebbe erigersi a custode di un emozione comunque così bella, finché è durata. 
Comunque tutto bene. Rattoppato, malconcio, con un paio di vecchie cicatrici e una nuova di zecca. Ogni tanto perde un po' il ritmo ma si riprende subito. E' un cuore che non molla, preferisce andare a tempo di samba anziché a quello scadenzato di altri cuori. 
Certo sì, ancora un po'sanguina. Ma prude anche. E se prude, Zia Fedora diceva fosse un buon segno. 

martedì 8 marzo 2016

Incoerente...

Io ci riesco benissimo. Certo non senza sforzi.
Parto dall'idea che "non devo": non devo pensare troppo, non devo scrivere troppo, sarebbe meglio non scrivere affatto, non c è da rimuginare, non c è da analizzare, non c è. Soprattutto non c è.
E poi la vita va presa così come viene, se è andata così vuol dire che non era destino, e no... non ci sto così male in fondo, perché si può aver di meglio, pretendere di più, accontentarsi di meno.
Poi però mi basta un immagine o un ricordo che arriva e non chiede il permesso. Si svacca lì, sul divano proprio come faceva lui, e la sento subito, la fitta allo sterno. Eccheppalle mi viene da dire, ma non si diceva che la vita non va presa così e il destino e tutte le altre fregnacce a tema?
Allora penso di non scrivere, non scrivere affatto. E invece un secondo e mezzo dopo sono lì che scrivo. E mi sorprende pure, perché risponde subito (c ha proprio una mazza da fare oggi eh...)  e allora penso di rispondere ironica, e invece scrivo due parole due che sembro pure seria.
E se da una parte sono contenta che le cose gli vadano bene, ma poi mi girano perché lui dopo una serie di righe all insegna del “io” (come abbreviazione di dio, evidentemente -  cit.) manco mi chiede come sto, e potrei essere morta e divorata dai cani alsaziani, e nemmeno se ne sarebbe accorto. Per dire.
E allora vorrei leggere che il mondo gli crolla addosso, la terra si apre sotto i  suoi piedi, o che per lo meno gli dessero una multa per divieto di sosta, o occupazione abusiva di suolo pubblico (quando porta a spasso il suo ego).
Così, perché il karma non è un opinione, e dato che m ha fatto male non è giusto che tutto gli fili liscio no?
Non dico mica niente di drammatico. Basta una scocciatura, un fastidio: una gomma bucata, quella di riserva sgonfia, la batteria dell'auto che si scarica, in una strada di campagna, sotto un diluvio universale e il cellulare con la batteria morta ma comunque tanto è caduto in una pozzanghera quando è sceso per controllare la gomma, e non c è nemmeno il fruttivendolo di bruce willis che passi di lì con un cellulare che costa più dell'ape-cross.
Ecco. Solo 'na robetta così... soft. Giusto per ricordargli che chi semina vento raccoglie tempesta.
O per lo meno è quello che zia Fedora blatera dalla notte dei tempi... mah...

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...