Gli oggetti non sono ricordi.
Gli oggetti aiutano a ricordare. Ma sono oggetti. L'essenza di ciò che ci ricordano è altrove. E', teoricamente, dentro di noi. Il problema è che siamo smemorati, alle volte intasati, da una marea di informazioni che finiamo per mettere tutto in un calderone. Un po' come fai con le bollette e i volantini che si recuperano dalla cassetta delle poste. Che le porti in casa, le appoggi su quella mensola e dici "poi metto via" e passano i giorni, non sai più quanti ma te lo ricordano i solleciti di pagamento.
Gli oggetti non sono ricordi, ma ci parlano di ciò che è stato. Ci aiutano a ricordare. Ho una scatola in armadio, con i gattini in foto buffe. E dentro c'è l'anno più difficile, intenso e bello che forse abbia mai vissuto, 5 anni fa. Dentro ci sono quelli che furono i nostri sorrisi, le nostre carezze e i nostri pensieri, e anche piccoli scherzi. Quelli che ti fai e ridi un po' come con il solletico sotto le lenzuola. E' in armadio, vicino ai maglioni delicati. Quelli che usi nelle occasioni importanti e rare perché non vuoi rovinarli.
Qualche giorno fa, invece, nello stanzino, invece, ho messo tre bottiglie di vino vuote. Prima erano in cucina. Facevano da sfondo ai bicchieri a coppa, finché non mi decidevo a metterli in lavastoviglie e dire a me stessa che IL giorno, quello tanto atteso era passato. E le guardavo, con quella faccia più o meno da ebete, aspettando l’incontro successivo, e la prossima bottiglia.
Ora sono tutte e tre nello stanzino. Per la precisione vicino alla lettiera di Melli. Che non è proprio il posto migliore dove conservare dei ricordi, a ben vedere.
Ma è una sorta di limbo. La rappresentazione visiva di quel che si chiama "pausa di riflessione". Che lo sai come sarà, sai già che vuole dire fine. Ma è un concedersi del tempo di assestamento dopo la scossa, o lo scossone. La pausa di riflessione è in realtà la pausa che ti serve a metabolizzare ciò che già sai. E la lettiera della Melli si apre a cento più una metafore. Volendo.
E quindi le bottiglie. Ieri guidavo nel traffico, senza la mia consueta telefonata e sentivo nelle orecchie rumore di vetro che si rompeva. Immaginavo cocci. Un pensiero che mi raggiunge prima sotto forma di suono: tre suoni distinti di bottiglie di vino che finivano in pezzi, e solo poi, in seguito, l’ immagine. Cocci che si mescolavano ad altro vetro, a ciò che restava di un barattolo di sugo e un vasetto di vongole veraci.
Gli oggetti non sono ricordi ma in qualche modo ne catturano l'essenza. Alle volte puoi riciclarli e regalar loro una nuova vita. Altre volte è meglio eliminarli, fare spazio. Cacciarli con forza dentro al bidone del riciclaggio e godersi lo schianto, magari con un sorriso altrettanto ebete, ma un filo più consapevole.
Credo che questa volta opterò per questa seconda opzione.
Gli oggetti aiutano a ricordare. Ma sono oggetti. L'essenza di ciò che ci ricordano è altrove. E', teoricamente, dentro di noi. Il problema è che siamo smemorati, alle volte intasati, da una marea di informazioni che finiamo per mettere tutto in un calderone. Un po' come fai con le bollette e i volantini che si recuperano dalla cassetta delle poste. Che le porti in casa, le appoggi su quella mensola e dici "poi metto via" e passano i giorni, non sai più quanti ma te lo ricordano i solleciti di pagamento.
Gli oggetti non sono ricordi, ma ci parlano di ciò che è stato. Ci aiutano a ricordare. Ho una scatola in armadio, con i gattini in foto buffe. E dentro c'è l'anno più difficile, intenso e bello che forse abbia mai vissuto, 5 anni fa. Dentro ci sono quelli che furono i nostri sorrisi, le nostre carezze e i nostri pensieri, e anche piccoli scherzi. Quelli che ti fai e ridi un po' come con il solletico sotto le lenzuola. E' in armadio, vicino ai maglioni delicati. Quelli che usi nelle occasioni importanti e rare perché non vuoi rovinarli.
Qualche giorno fa, invece, nello stanzino, invece, ho messo tre bottiglie di vino vuote. Prima erano in cucina. Facevano da sfondo ai bicchieri a coppa, finché non mi decidevo a metterli in lavastoviglie e dire a me stessa che IL giorno, quello tanto atteso era passato. E le guardavo, con quella faccia più o meno da ebete, aspettando l’incontro successivo, e la prossima bottiglia.
Ora sono tutte e tre nello stanzino. Per la precisione vicino alla lettiera di Melli. Che non è proprio il posto migliore dove conservare dei ricordi, a ben vedere.
Ma è una sorta di limbo. La rappresentazione visiva di quel che si chiama "pausa di riflessione". Che lo sai come sarà, sai già che vuole dire fine. Ma è un concedersi del tempo di assestamento dopo la scossa, o lo scossone. La pausa di riflessione è in realtà la pausa che ti serve a metabolizzare ciò che già sai. E la lettiera della Melli si apre a cento più una metafore. Volendo.
E quindi le bottiglie. Ieri guidavo nel traffico, senza la mia consueta telefonata e sentivo nelle orecchie rumore di vetro che si rompeva. Immaginavo cocci. Un pensiero che mi raggiunge prima sotto forma di suono: tre suoni distinti di bottiglie di vino che finivano in pezzi, e solo poi, in seguito, l’ immagine. Cocci che si mescolavano ad altro vetro, a ciò che restava di un barattolo di sugo e un vasetto di vongole veraci.
Gli oggetti non sono ricordi ma in qualche modo ne catturano l'essenza. Alle volte puoi riciclarli e regalar loro una nuova vita. Altre volte è meglio eliminarli, fare spazio. Cacciarli con forza dentro al bidone del riciclaggio e godersi lo schianto, magari con un sorriso altrettanto ebete, ma un filo più consapevole.
Credo che questa volta opterò per questa seconda opzione.
Questa cosa che ti commento solo io, qua, deve finire.
RispondiEliminaTi assumo come agente?
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