venerdì 24 maggio 2019

Pensieri in sghimbescio...

Ho bisogno di una finestra. Che io sia a casa, alla scrivania a scrivere o sul divano a leggere. Che sia al lavoro e quindi concentrata in cose più importanti, ho bisogno di sapere di poter alzare gli occhi e guardare oltre i vetri. Lo facevo anche a scuola, quando lasciavo la mia mente evadere oltre i vetri e imbrattavo quelle che, all'epoca, non erano pagine virtuali ma quelle del mio diario. 
Dalla finestra dell'ufficio vedo un campo, un po' di tempo fa ha ospitato le pecore in transumanza. E poco più in là degli alberi. Le cime oggi sono smosse dal vento, nemmeno troppo forte, in compenso in lontananza si sentono dei tuoni e incombe il temporale. 
Non mi hanno mai spaventata tuoni e fulmini. Ho sempre trovato affascinante l'energia che sprigiona un cielo incazzato con l'asfalto. Se poi mi trovavo al mare mi sentivo in una posizione privilegiata, perché potevo godere, dalla prima fila, della sfida tra nubi e onde. 
Solo una volta il temporale mi ha spaventata a morte. Ero in Croazia, il brutto tempo ci ha colto lontani da un porto e la barca su cui ero a stento reggeva i colpi e i vuoti di un mare imbizzarrito. Ho temuto per la mia vita, per quella dei miei gatti e per il timore di non essere in grado di proteggere chi amavo. Dopo un tempo che a me è parso infinito abbiamo trovato una baia e lì, insieme a molte altre imbarcazioni, ci siamo messi in rada ad aspettare che Zeus scatenato ritrovasse la ragione. 
La mattina dopo il sole era tornato a farla da padrone, sì certo, c'era ancora un po' di onda lunga, ma il peggio era passato. La barca, più solida di quanto mi aspettassi, aveva retto a tutte le sollecitazioni, al vento e anche alla mia titubanza. Rientrati in porto ci raccontarono che erano diverse le barche affondate il giorno prima. I pescatori però lo mettono in conto, fa parte del mestiere. Ogni volta che il cielo diventa nero non puoi sapere se sarà quello il temporale che ti farà affondare, ma non per questo smettono di uscire in mare. 
Oggi, quando sono arrivata in ufficio tuonava. Ho spostato la tenda per guardare fuori, e il cielo nero imprecava tempesta. Mi sono fermata ad ascoltare le sue minacce aspettadomi il peggio, poi il vento e cambiato e con la stessa forza con cui s'era fatto buio, è tornato a farsi vedere il sole. Non troppo splendente, provato dal continuo combattere con le perturbazioni ostili, appena tiepido. 
Ma pur sempre il sole. 
Ne ho visti tanti di temporali, ma si estingono sempre nello stesso modo.
Alla fine vince il sole. 

mercoledì 22 maggio 2019

... si spegne anche l'insegna di quell'ultimo caffè

Richiudi la porta alle spalle. La musica è ormai spenta, ma le orecchie fischiano ancora, vuoi per le note troppo alte, il vociare e le risate. Hai ancora un sorriso impigliato all'orecchino, uno sguardo appoggiato lì, vicino al tappo del prosecco: la festa è finita e tutti gli inviati stanno raggiungendo le loro auto.
Che poi, non è proprio così. Ma la sensazione è quella. Dopo un mese di biglietti del treno, di mani da stringere, di abbracci e di emozioni così forti da togliere il fiato, guardo il calendario e per ora, il prossimo fine settimana non è cerchiato. L'ultima valigia è ancora da disfare da domenica sera, ogni tanto Leo ci si infila dentro e si fa trovare perché dimentica la coda fuori.
C'è stata la prima presentazione, quella con il fiato corto, con le amiche che mi guardano di sbieco e cercano di capire se dietro il colorito bluastro che mi portavo addosso ci fosse ansia,  mancanza di ossigeno, la tachicardia o un uso improprio del fard.
C'è stata Mari che ha fatto capolino, non me l'aspettavo e sono scoppiata a piangere come una deficiente.
Ci sono stati i regalini, i regaloni, c'è stato il mio guardare smarrito Annamaria e i due life-motive del w.e: "dove ho messo La Penna?" io, "mangia!" lei.
C'è stata la presentazione ufficiale nella mia città, con la Famiglia, gli amici e i fiori e gli abbracci commossi e stupiti. C'è stato il Salone, che basta nominarlo così, senza specificare. Che tanto si sa che è il Salone Internazionale del Libro. Cos'altro potrebbe essere? È un po' come dire "il Santo" a Padova, o l'Avvocato a Torino. E per noi che si scrive, quando entri da autore quella colonna di libri fa tutto un altro effetto. Una stampa di un lupo, quella di un micio, un sacchettino di lavanda, due orecchini brillanti e Patrizia seduta accanto a me, a farmi annodare la gola, di nuovo.
C'è stato il "Tour del Gatto" che si chiude a Padova, per festeggiare la terza, inattesa ristampa. Il mio compleanno lontano da casa, la Capitale che a tornarci è sempre un'emozione. 
Insomma, se non fosse per la casa che in mia assenza o presenza rateale appare ordinata come una stanza di liceali, il frigorifero che non vede una spesa decente da un mese, non sembrerebbe nemmeno la mia vita.

Oggi la musica non è proprio spenta ma viaggia su un volume più basso. Guardo a sabato con lo spirito della massaia e non dell'autrice itinerante, anche se la primavera e il sole tardano ad arrivare ho voglia di fare ordine tra le stanze e soprattutto fare spazio. E sorrido.
Sento quel leggero friccico creativo che nulla ha a che fare con la scrittura, ma mi fa venire voglia di spostare i mobili, cambiare le prospettive, rivedere gli spazi buttando l'inutile per fare spazio al nuovo e fondamentale.
Ho voglia di invertire l'ordine dei fattori, e scoprire che il risultato cambia, eccome. 
Che le regole sono un po' come i libri lasciati lì, alle volte basta soffiargli via la polvere e cambiano luce, si rianimano nei colori.
Anche le persone sono così.
Ho voglia di riprendere fiato e fare la lista delle cose da prendere all'Ikea insieme a Chiara, perché qualsiasi cosa tu viva o senta, se non spettegoli adeguatamente con l'Amica, resta sospesa tra il sogno e la fantasia.
E invece, mai come in questo periodo, i miei giorni siano carichi di consapevolezza.

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...