lunedì 20 giugno 2016

Lo zen e l arte dello scazzo.

 I sintomi ci sono tutti. E ormai li riconosco. La pressione è quasi a livello, e io ho bisogno di staccare. Il fatto di aver rimosso mentalmente 8 giorni dal calendario ed essere convinta che il prossimo sabato fosse il 2 luglio è già di per sé abbastanza indicativo. E' sempre stato così, fin dai tempi delle superiori. Io di tanto in tanto devo prendere lo zaino e andare. Mi basta un giorno, anche due. Devo macinare chilometri, cambiare aria, uscire dai quattro muri che mi diventano pressanti e scoprirmi sotto un altro cielo. E allora ritorno in equilibrio, il mio limite di sopportazione torna ad essere alto e con lui anche la mia tolleranza. Potrei dire che torno serena. Senza scomodare la Felicità, che se la tira già di suo ed è difficile incontrarla, mi sento di dire che la serenità mi regala di per sé delle lenti di color rosa, e pure un po' sfumati. Quando arrivo a questi livelli, le lenti diventano trasparenti, chiare. E tutto estremamente nitido. Vedo le cose ben delineate, con contorni specifici e con l'illuminazione perfetta. In pratica divento scomoda. Dico cose scomode, il filtro del "vivi lascia vivere" va un po' a farsi friggere, fare spallucce non mi riesce più tanto semplice. Che poi me ne pento anche, perché alla fine, mica è la mia vita voglio dire. Ma niente da fare, ormai ho detto quello che penso. E la cosa drammatica è che riesco a dirlo esattamente come lo penso. 
Ho bisogno di partire, di staccare la spina. Guardo i giorni che mi separano dalla mia prima vera Vacanza con la V maiuscola, e resisto. Penso agli intervalli, agli intermezzi che vorrei provare a regalarmi per non arrivare in aeroporto modello pentola a pressione. Ci proverò. E nel frattempo? Nel frattempo ho tolto la porta della cucina. Era in più, se ne può fare a meno. Penso a cose frivole come il "voglio viaggiare leggera" e non lo penso rivolta solo al 2 luglio, ma vorrei provare a farlo tutti i giorni con le piccole grandi zavorre che ci si porta normalmente in borsa. Non è sempre facile, perché ci si mette di mezzo l'abitudine, le certezze ipotizzate, eppure c è qualcosa che mi spinge a pensare che urge di nuovo un cambiamento. Ma di quelli che, se non ti fanno tremare le gambe almeno un po', non sono giusti. 
C è da togliersi di dosso davvero, la polvere dell'inverno.

Nessun commento:

Posta un commento

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...