lunedì 28 novembre 2011

Una domenica per l'ADMO

Questo era il "nostro" banchetto. Pronto in meno di una decina di minuti, che quando fa freddo si scatta come cavallette e le cose sono più veloci. Eravamo in tre, carichi e motivati. 
All'inizio però non sembra una cosa così semplice. C è la crisi e pure i buongiorno sembrano costare cari. E così c è chi ti passa davanti e fa finta di non vederti, chi ti guarda e pure male, chi dice un buongiorno stretto tra i denti giusto perché la mamma 60 anni fa gli ha insegnato così e non ce la fa proprio a disobbedire. 
Altri che sfilano nell'indifferenza. 
Ma no il nostro sorriso e il "buongiorno! vuole un panettone che si fa domenica?" l'abbiamo regalato a piene mani, e non ci siamo demoralizzati troppo. Quello che ha colpito però un po' tutti è che le persone non sorridono. Camminavano frettolose per andare o tornare da Messa, e già avevano il muso. Giravano con le sporte dei regali di Natale e grignivano. E' vero, di questi tempi c è poco da stare allegri, ma alle volte penso che si potrebbe spendere pure un po' di meno e sorridere un po' di più. Forse si vivrebbe meglio. 
A metà mattina scopro il sacchettone nuovo dei palloncini in uno degli scatoloni ancora chiuso. E già che solitamente giro con la sindrome da paiasso* in tasca, non è che mi fermo a pensarci troppo su, gonfio un palloncino e lo faccio volteggiare sulle nostre teste. Giallo come il sole che, arrivava ovunque, meno in quella via stretta con i palazzi alti, almeno ci si scalda un po'. E scopro che i bimbi più piccoli hanno ancora la capacità di stupirsi davanti ad un palloncino. Fermarsi a guardare le loro espressioni mentre abbracciano un pallone più grande di loro, ti fanno dimenticare il freddo e i grugniti antipatici. L'immagine più bella? Una bimba che camminava appena, sfuggiva dalle mani del papà in cerca della mamma dentro ad un negozio, il padre impegnato a rassicurarla "arriva subito la mamma, tranquilla!" e lei che piangeva come una pazza. Mi avvicino con un palloncino rosa e le dico: "se io ti regalo questo palloncino, tu lo regali a me un sorrisone?". La bimba guarda questa cosa rosa davanti a lei e smette in un secondo di emettere qualsiasi tipo di suono, spalanca gli occhi e sul viso le si apre in un sorrido a quattro denti che lascia ammutolita anche me. Proprio me, che il più delle volte ho la sensazione di avere l'istinto materno di una cozza. 
E mentre prende il palloncino (più grande di lei) dalle mie mani e guarda suo papà, sempre con quell'espressione incantevole così difficile da raccontare, io me ne ritorno al banchetto, in cerca di altri palloncini e in tempo per incartare un paio di pannettoni. Sullo sfondo, l'abete davanti al palazzo del comune sberluccica già.
E mi sento un po' paiassa, un po' commossa, tanto allegra e con la sensazione di essere nel posto giusto. 
Al momento giusto.

*paiasso = pagliaccio detto in patavino. 


3 commenti:

  1. Già, è un periodo che mette a dura prova tutti, per molti versi.
    A me ha fatto tenerezza una famigliola (mamma papà figlioletta) al supermercato: sabato c'era la colletta alimentare e stavano davanti al reparto omogeneizzati. La bimbetta chiedeva e i genitori spiegavano che le cosine erano per i bimbi poveri.
    :)

    RispondiElimina
  2. E così magari quella bimba crescerà con l idea che anche chi ha poco può fare qualcosa per chi non ha niente. è un immagine che dà ancora speranza.
    (ti ho appena letta da emmecarla, ed è sempre un piacere incrociare i tuoi scritti)

    RispondiElimina
  3. Eh, si, hai proprio ragione. Sarebbe bello davvero riuscire a stupirsi ancora come fanno i bambini. E quando spalancano gli occhioni e la bocca, a noi adulti si spalanca il cuore. Peccato che poi, i problemi, i contrattempi e la routine delle nostre giornate ci trasformano il sorriso in un ghigno. Io cerco sempre di affrontare le giornate con leggerezza, ma non è mai facile. E non è del mondo degli adulti essere leggeri, si passa spesso per superficiali.

    RispondiElimina

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

  Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue te...