giovedì 4 maggio 2017

pensieri sparsi #hopersoilconto

Partire è uno stato mentale. Un po' come dire sono via di testa, sì ecco è un immagine che rende. Però, almeno in questo caso, sto valutando il concetto di partire come un andarsene mentale.
Si parte per staccare la spina, per cercare un orizzonte diverso, per prendere le distanze da qualcosa o da qualcuno. Per rendersi in qualche modo irraggiungibili o vedere se ci sia qualcuno disposto a rincorrerci. A partire con noi. Quando il viaggio è mentale (e non causato da sostanze stupefacenti) il concetto di fondo non cambia. Spesso, spessissimo prendiamo le distanze da qualcosa o qualcuno, e specie se si tratta di un qualcuno di particolare, si spera in fondo che questo faccia qualcosa per fermarci. O rincorrerci.
Che sia un partire fisico o mentale, prendere le distanze e cambiare direzione è sempre meglio che restare lì infognati, pardon, ad aspettare un qualcosa (o il solito qualcuno) che non arriva. E perché non arriva? Perché non è, o non siamo la persona giusta? Perché non è il momento giusto ma potrebbe esserlo più in là? Perché ci sono mille e un freni inibitori, o scuse, o supposizioni. Insomma quello che si vuole ma chiaramente nessuna idea chiara. E' come arrivare trafelati alla fermata del bus, e trovare il solito vecchietto che dice "eh, c è sciopero" e tira dritto. Ma come? E per quanto? Ma siamo sicuri che non passa?
Ha senso restare fermi? Ci si guarda intorno, si scruta l'orizzonte e poi? Quando mi capita preferisco incamminarmi, arrivo alla fermata successiva, mi riguardo intorno e poi decido il da farsi. Nel maggior numero dei casi, sono giunta a destinazione a piedi. E tutto sommato spesso è pure meglio. Si cammina, si riflette, ci si guarda un po' intorno... Una canzone di Ruggeri che adoro dice "la stasi debilita, l'azione rinfranca". Aspettare è una cosa che mi manda in corto circuito perché significa far dipendere la mia vita e le mie scelte da un'attesa. Preferisco essere io a decidere per me, decidere se restare qualche minuto alla fermata o decidermi a proseguire dritto per la mia strada. Si perde troppo tempo dietro ad un'illusione o ad una aspettativa. Come se alla fine avessimo tutto il tempo del mondo, e invece no. Ed è chiaro non si possa vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo. Ma non si possono lasciar correre i giorni ipotecandone altri in virtù di un potrebbe essere che, già solo per il potrebbe, non è.
Partire dentro di sé potrebbe rivelarsi il viaggio più faticoso in assoluto. Anche se non ci sono prenotazioni obbligatorie da fare. Le strade della nostra mente sono così strutturate e tortuose da rivelarsi spesso labirinti mal costruiti, e senza via d'uscita. Il percorso è costellato da poltrone comodissime e seducenti, che sono parte della nostra confort zone. Un volta che ti ci siedi di nuovo e inizi a massaggiarti i piedi, finisce che non ti alzeresti più, e ritorni a procrastinare, a vivere nella comodosa idea che il compromesso ci sta, sia parte della vita e vada bene così. Poi se sei fortunata ti passa davanti qualcuno correndo, con una bella falcata e lo sguardo deciso. E nonostante sia sudato marcio ti pare felice, e allora ti rialzi e torni a camminare, perché la voglia di essere felice non ha bisogno di un massaggio ai piedi. Corre anche scalza verso la meta se serve. Siamo solo noi a farle lo sgambetto. E poi è facile, e spesso accade, che si perda il bagaglio. Ma inizio a pensare che il più delle volte sia solo un bene.

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