mercoledì 14 marzo 2018

Vorrei dirti...

Devi sapere che il mio manuale della perfetta seduttrice, (quello che raccoglie con dovizia di particolari tutte quelle sagge indicazioni che potrebbe aver scritto Zia Fedora in uno dei suoi stati di grazia dovuti all'assunzione quotidiana dell’Erbamil), si è suicidato infilandosi con un doppio carpiato nel microonde, dandosi fuoco per protesta circa nel '98.

Insegnamenti tipo: “una vera signorina per bene non dice, non lascia intendere, tiene la schiena dritta e le gambe chiuse, mescola candore e mistero austero in pari misura”, con me non funzionano.
Io appartengo alle donne che se lo sentono lo dicono: ti desidero. Toh.

Ed è bello desiderarti, immaginarti nel profumo che potrebbe restare sul cuscino, che sì, è vero fa pure un po’ romanticismo diabetico ma chissenefrega, tanto sono io che annuserei. E sono belle le tue mani e i tuoi respiri, la tua fronte contro la mia schiena. (O per lo meno l’idea che mi sono fatta delle tue mani, dei tuoi respiri, della tua fronte contro la mia schiena).

Ti voglio. Vestita o meno, sobria o sospesa, poco mi importa. Io ti voglio. 
Candore e mistero austero non mi appartengono. Appare chiaro, no?

L’imbarazzo sì invece, sovente. L’iniziativa frena davanti alla paura di sentire: “no, mi spiace, no”. (La morte dentro). Per non parlare dello sguardo carico di mistero, mi riesce naturale solo davanti al bancomat quando aspetto il conteggio del saldo. (Follia).

Ciò detto. Mi aggiro per i meandri di whatsapp, con fare (ti farei notare), un filo distaccato ma non certo indifferente, dibattendomi tra il non essere inopportuna (non dire - non lasciare intendere - mistero austero) e lo scriverti: “”Prendo la macchina, o il treno, un risciò e ti raggiungo. Prepara il vino”.

Ma non si può, da su, siamo serie. (L’uomo è cacciatore, lascia fare” estratto da: “Zia Fedora e una vita di silenziose attese).
La verità è che i miei pensieri ti girano intorno e si fermano a godere dei tuoi dintorni. Ti annusano, un po’ si strusciano, testa/schiena come fanno i gatti contro le gambe. Anche adesso che sei lì in pausa, con il bicchierino del caffè in mano. Raccogli idee guardando il liquido nero, rincorri gli impegni ignaro di non essere solo. Non proprio.

E forse non li senti (ma non è detto), i miei pensieri che ripercorrono il tessuto della tua camicia, e scendono più lenti lungo una strada che non ho mai percorso (ma mai dire mai, mi ha detto P. non più tardi di 4 giorni fa, chissà se è strega la metà di me).

Insomma, lasciami dire: ci sono momenti in cui penso che l’incavo del tuo collo sarebbe l’unico posto dove varrebbe la pena di fermarsi e respirare.
O non fermarsi affatto, ma respirarti per ore.

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