giovedì 21 novembre 2013

Marsiglia Blues - Andrea Monticone

È come stare in bilico su una scala a guardare giù.
Aggrappati alla balaustra forse troppo bassa per concederci il lusso di una presa sicura.
Il fascino pericoloso dell’equilibrio precario tra la salvezza e la dannazione, il vuoto o il buio.
Eppure non si può farne a meno.
Di restare così: aggrappati alla vertigine del vuoto che scende, di subirne l’attrazione mentre il buio lì in fondo, sembra risalire e venirci in contro. 

Leggendo Marsiglia Blues la balaustra forse troppo bassa è la copertina.

Iniziare a leggere significa ritrovarsi avvolti e vinti dall'instabilità di una discesa vorticosa verso il basso. Si scendono i gradini accompagnati da Joe, che ci racconta la sua storia. La sua e quella di Bruno Lucien Serrat, cantante e leader di un gruppo rock francese; dell’ Amore Assoluto che unisce Bruno e Marguerite, amore come ossessione, come tormento, dannatamente profondo e fragile nello stesso tempo.
Scendere a tempo di blues.
La musica ci accompagna con un ritmo scandito da evoluzioni e involuzioni: la carriera che decolla e la vita che precipita sotto il peso degli eccessi dell'alcool, della droga e del sesso fin troppo facile.
Eppure. 
Eppure, per quanto il nostro retaggio culturale, educativo o religioso che sia, ci vorrebbe spingere alla condanna dei personaggi senza possibilità di assoluzione alcuna, ciò che più ci spaventa è la capacità istintiva di comprenderli. Quasi giustificarli.
Scendiamo con loro quei gradini nell'impossibilità di abbandonarli alla loro sorte, al loro fuggire, scappare dalle colpe e dal senso di colpa. Impazienti di conoscere non solo la loro storia, ma anche quelle che si intrecciano, arrivano da distante, e sono parte di un unico destino, un unico filo conduttore.
Un unico spartito.

Ci piaccia o no, i personaggi ci annodano a loro. Percepiamo sulla nostra di pelle la luminosità di Marsiglia, il profumo del glicine e della lavanda. Le tinte grigie di una Milano tutt'altro che da bere e il mare burrascoso della Bretagna, con il freddo che ci fa serrare le dita intorno alla balaustra/copertina, e la percezione di un dramma che sta, fatalmente, andando in scena.
Camminiamo per Parigi profumata di pioggia e di spezie, testimone aristocratica e distaccata di dolore, ostinazione e perseveranza mentre Joe cerca di salvare l'amico o forse più inconsapevolmente se stesso.
Siamo in auto con Bruno che, come dice suo figlio " se ne va sempre". Fugge dal suo delitto, dalle responsabilità e dalla sua stessa coscienza che, chiaramente, urla fin troppo per riuscire a sentirla. 

Inevitabile arriva l'ultima pagina ed è un riportare il baricentro più indietro. I piedi tornano saldamenti ancorati a terra, e la vertigine sparisce dopo il primo respiro profondo.
Di nuovo al sicuro, di nuovo distaccati da un mondo che non ci appartiene e che respingiamo con forza.
In qualche modo forse sollevati, come lo si può essere dopo aver allontanato qualcosa che ha la capacità di accendere la luce contro nostre zone d’ombra. 
Ma dopo questo  libro, ascoltare il blues non sarà più la stessa cosa. 




6 commenti:

  1. Apperò!! Certo che come recensisci tu nemmeno Giacomo Debenedetti! :-)

    Ma... ti è piaciuto?

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  2. oh! segnali di vita dai cortili e dalle case all imbrunire!
    grazie Ing.
    (cioè Debenedetti, niente meno?)

    mi è piaciuto? non è sicuramente un libro facile. ma è vero che io che sono appassionata di descrizioni, per quelle strade di Parigi c ho camminato davvero..

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  3. Ottima recensione. Se lo trovo lo compro.
    Ah...salutami tuo cugino Andrea.

    ;)

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    1. sul sito della feltrinelli lo trovi. se preferisci il negozio basta ordinarlo...

      mio cugggino Andrea ricambia! :D

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  4. Adoro il Blues... mi hai convinto lo leggerò. ;)

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  5. Adoro il Blues... mi hai convinto lo leggerò. ;)

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