domenica 31 agosto 2025

31 agosto

Annamaria dice che la grande "pulizia" che ho fatto in casa, non è altro che un riflesso del lavoro che ho fatto dentro. 
Non è stata un'estate semplice questa, quando per estate intendo il mese di agosto.   
Agosto è un mese di grandi promesse mancate e aspettative disilluse. Anche quando lavoravo come dipendente aspettavo il mese "di ferie" pensando avrei fatto mille e una cosa e alla fine il caldo mi schiantava e combinavo pressoché nulla. 
Quest'anno non ha fatto eccezione. O per lo meno così credevo fino a quando Annamaria non mi ha fatto notare che ho lavorato "per sotto" un po' da carbonara. Che sono convinta di aver riempito borse di vestiti da regalare e, invece, ho fatto molto di più. 
L'estate dei miei 49 anni è stata quella dei pantaloncini corti. Indossati per sopravvivere al caldo impossibile, il primo giorno con immensa titubanza, io che ho le gambe grosse, i polpacci che mi ricordano gli anni di pallavolo, la caviglia non proprio sottile. E lei, la cicatrice di trenta cm e il ginocchio a polpetta. Eppure sono riuscita a uscire di casa, affrontare la strada e... fregarmene. 
Il primo giorno, appena fuori dalla mia confort zone, mi saluta M. che guardandomi mi dice: "oh be', se pure la Sacrato si veste così fa vero caldo". E io subito penso: "ecco, mi guarda le gambe, sono troppo grosse e io troppo vecchia e..." a fermare l'inizio dei pensieri sabotanti sempre lei, M.: "credo sia una delle prime volte che ti vedo con una camicia bianca". 
Ecco. 
"E i pantaloncini corti?", incalzo. "No, quelli non li avevo notati... stai bene. Poi, con questo caldo...". Sono bastate le sue parole a farmi pensare che non sarei tornata indietro. 

Nel contempo è accaduto un altro fatto particolare, tanto importante da farmelo scrivere anche alla psicologa. Ho trovato, finalmente, una parrucchiera che guardando la mia ciospa non dice "no, sulla tua testa no". Ile è una persona che ascolta, guarda e accoglie. Il suo essere possibilista mi ha dato una nuova energia e, mentre cercavo un taglio strategico e molto corto guardando foto su foto di modelle bellissime, mi sono accorta che i miei capelli stanno tornando mossi, quasi ricci. Sono anni che facevano quello che volevano e in modo piuttosto pacato tendente allo smorto. 
"In mezzo a tante sfighe, la menopausa regala qualche gioia", mi dice la mia ginecologa. E questa volta non parla solo delle mie tette lievitate. 
Così ho cercato le foto in cui mi sentissi io. In cui mi guardo e mi ritrovo, mi riconosco. E sono quelle dove ho i capelli molto lunghi, molto neri e molto selvaggi. Ecco, il fatto eclatante è che "ho scelto me". Dopo centinaia di foto di modelle strabelle, molte delle quali pacioccate con l'A.I., ho scelto una mia foto del 2019 e ho chiesto a Ile di farmi tornare così. E lei mi ha risposto "va bene, facciamo". 
Tre parole e una virgola. Ci vuole così poco, alle volte. 

A ogni modo, domani è il primo settembre. È capodanno, per me che già penso ai colori e ai toni dell'autunno. Settembre è il mese del fare, che l'aria è più fresca, si respira e non si appiccica. 
È il momento di studiare una strategia, di mettere nero su bianco quello che si vorrebbe ma, soprattutto, cosa fare per andarselo a prendere. 
Iniziano le semine, le idee possono prendere forma senza sudare; si ricomincia a scrivere con il tintinnio della campana a vento che è rimasta immobile e silenziosa tutta l'estate. 

Insomma, arriva l'autunno e io rinasco come una Amanite Muscaria. Sempre velenosa, ma con più simpatia. 

venerdì 1 agosto 2025

Decluttering

 

Ho iniziato un decluttering piuttosto "violento" in casa. 
Io funziono così: quando la testa diventa un campo da football americano dove i pensieri si prendono a spallate e si ammassano uno sull'altro, io comincio a spostare i mobili. 
Un po' perché i lavori manuali mi costringono a rallentare la testa e un po' perché fare ordine "fuori" aiuta l'"ordine" dentro. 
E poi, insieme ad Annamaria LaMiaPersona, abbiamo deciso di dare una svolta molto green alla nostra vita. Stiamo studiando tutti i prodotti e i metodi per arrivare a ridurre drasticamente soprattutto gli imballaggi di plastica, e intraprendere delle abitudini decisamente più sostenibili. Ma questo merita un capitolo a parte. 
In attesa dei giorni di ferie che verranno, ho iniziato dal bagno. Su una mensola avevo le bottigliette vuote del mio profumo preferito. Lo amo così tanto che l'ho infilato anche nell'ultimo romanzo. Il problema che ha un costo assai difficile da sostenere e così ho centellinato l'ultima fino allo stremo. E poi faticavo a separarmi dai vetri. 
Soprattutto uno. La bottiglietta più piccola, in primo piano, l'ho trovata sopra il tavolino nella stanza di Parigi dove ho soggiornato per una settimana, nel 2017. Non l'avevo portato con me perché avevo solo il bagaglio a mano, ma avevo confidato a una persona che il profumo, spesso, è uno stato mentale. A me, il mio, dà una "nota di sicurezza" che un normale deodorante non ha. E, questa persona, mi ha fatto trovare la confezione più piccola che avrebbe passato i controlli. 
Non è una cosa che capita tutti i giorni, non è certo una cosa da tutti. 
In quella settimana non aveva smesso un giorno di piovere, ero partita da Venezia con oltre 40° e a Parigi non si arrivava a 18°. Avevo freddo, la Coccinella e io rientravamo in hotel zuppe ogni sera. Il morale che ambia a buttarsi dalla loggia della Tour Eiffel. Ma una sera ho trovato un pacchetto e le cose sono cambiate. 
E allora è vero che, nel decluttering, si parte dal presupposto che le cose sono cose, che i ricordi albergano in noi e non negli oggetti e che il vecchio deve fare spazio al nuovo. 
Ma io quella boccetta l'ho tenuta. 

domenica 20 luglio 2025

Di decluttering, di fecebook e di grandi speranze...

 

Da qualche tempo ho deciso dedicarmi a un decluttering "estremo". Attendo i giorni di ferie che verranno per rimettere mano al mio mondo e dargli la forma che ho in testa. 
Mio padre lo diceva quarant'anni fa: non bisogna rincorrere il superfluo. E in effetti vivevamo in quattro persone in 55 mq, senza grandi difficoltà. C'erano solo due armadi in casa, e nemmeno dei quattro stagioni. Eppure si viveva bene. Certo, Madre era a casa, per lo più e quindi faceva un'enorme differenza. Ma se io, che abito sola, ho in mano le felpe piegate e ho difficoltà a capire dove metterle perché "non ho spazio", allora c'è qualcosa di distorto. In attesa dei famosi giorni di vacanza, ho iniziato dal bagno per proseguire con uno . Voi direte: che ci sarà mai in bagno di "superfluo". Ho l'imbarazzo della scelta.
A partire da quei campioncini che solitamente regalano alcuni negozi, che appoggi lì e non userai mai. Specie li shampoo, ad esempio. Alla mia ciospa una bustina non basta nemmeno per sentirne il profumo. I barattoli usati, finiti e magari non buttati, i trucchi o le creme scaduti... Insomma, a guardare bene c'è di tutto di più. 
Ho provato a girare per casa, con un quaderno in mano, annotando quello che "a vista" posso far sparire con una certa serenità. Ho aperto lo "stipetto delle borse". Qui è stato un po' diverso: ogni borsa è un viaggio, un ricordo, un momento vissuto. Il punto è che, alla fine, stiamo parlando di oggetti. Sono sempre oggetti. Siamo noi a caricarli di ricordi, aspettative... a umanizzare ciò che ci trasmettono. Ma alla fine, gli oggetti sono oggetti. 
A parte i peluche, a cui dedicherei un capitolo a parte. 

Nel mentre Facebook ha disabilitato il mio account. Sul perché ancora non mi è chiaro perché Fb non è prolisso, ti dice "hai fatto una minchiata" e non dà spiegazioni. Un po' come i genitori quando dicevano "perché no" e chiudevano il discorso. Quindici anni di post, di immagini, di emozioni, canzoni... passaggi di Vita fondamentali e non. 
Non volevo fare un decluttering violento e "assoluto", Meta mi ha ascoltata alla lettera. Aspetterò un paio di giorni e poi vedo cosa fare, anche se, secondo me, l'unica cosa sarà aprirne uno nuovo. Non mi sembra tanto grave: quello che ho vissuto negli ultimi 15 anni lo so io, lo sanno le persone che mi stanno accanto. Non sarà un colpo di spugna virtuale a farmi venire dei rimpianti. È solo un po' straniante. 
Quello sì. 

Nel frattempo dovrei iniziare l'editing dell'ultimo romanzo. Uscita prevista a gennaio. È una storia a cui tengo, tanto, tantissimo. Tra quelle righe sì, mi sento di mettere tanta speranza. 

martedì 15 luglio 2025

Il successo

 

Quando ero piccola i dolci erano "i pasticcini della domenica". E nemmeno di tutte le domeniche. Uscivo da Messa e tornavo a casa, Madre mi dava cinque mila lire e mi mandava a prendere quattro pastine o un vassoietto di mignon. 
Giornata speciale. 
Associai così bene "i pasticcini" alle giornate speciali, che quando i miei compagni di scuola portavano i dolci o le paste per i compleanni, io ne conservavo sempre una parte
 per Luca. 
Se c'erano due fette di torta, una la mangiavo e l'altra l'arrotolavo nel tovagliolo di carta e poi la portavo a casa tra le mani così non si sarebbe rotta in cartella. Se erano pasticcini lo stesso. Dividevo a metà. Nella mia testa non era giusto che io avessi una cosa così speciale e mio fratello no. Un giorno feci ridere mamma perché trovò una di quelle pastine alla frutta con la crema pasticcera intero e uno spezzato a metà. Avevo messo l'acino di uva nella parte per Luca e avevo tenuto per me la fragola. Madre mi guarda e io le rispondo alla domanda non fatta: «La maestra ha detto che ne potevamo prendere tre a testa...».

Sono passati molti anni da quel dì, ma la mia mentalità è la stessa. Se ho qualcosa o mi capita qualcosa di bello tendo a condividerlo, rendere partecipe chi mi sta accanto, che a festeggiare da soli mette 'na gran tristezza.

Ieri parlavo con un'amica sul fatto che, in ambito editoriale, ci siano realtà che assomigliano a vasche di piranha, altre di squali ma, per fortuna, ci siano anche tantissime mani tese. Come sempre fanno più rumore i piranha quando banchettano che le mani quando si stringono, ma mi piace pensare che, come diceva il buon Leo (Tostoj): "la felicità è reale solo quando condivisa". 

Ma allora cos'è per me il "successo"? 
In linea di massima è arrivare a fine giornata pensando di essere riuscita a schivare la maggior parte dei pattoni che la Vita riserva. Cosa nient'affatto scontata. 
E poi? Se penso ai libri scritti, da scrivere e da pubblicare?
E poi è difficile, perché non riesco a ricondurre il concetto a una mera questione di denaro, e mentre ancora mi arrovello, stamattina Facebook mi ricorda le parole di Ezio Bosso, di qualche anno fa:

"Ogni volta che tocco quel tasto, ho raggiunto il successo. Ogni volta che ricomincio, ho raggiunto il successo.
Perché il successo è che cosa? Non lo so, non mi interessa. Mi interessa la musica; mi interessa la gratificazione più bella: vedere che qualcuno che cresce intorno a te e un po' anche grazie a ciò che fai. E questo c'è ogni volta.
Spesso si confonde il successo con la fama o con il riconoscimento, invece la musica di cui mi occupo è una musica che dice che tu non ci sei, tu sei al servizio della musica. E in questo, sapete, un po' tutto è così, anche un medico, qualsiasi mestiere intraprenderete voi sarete al servizio di qualcosa o di qualcuno.
E questo vi darà la gratificazione: vederlo felice, vederlo crescere, farlo mangiare bene. Tutto questo è la gratificazione, ed è sempre una questione umana, di rapporti. E quando ci sarà questo è una delle cose più belle: un grazie, un sorriso.
(...) Ecco, non inseguite il successo, per favore. Inseguite la passione che è anche un sacrificio, inseguite la crescita, la curiosità. Per me è quella la parte che mi ha salvato".

Ecco, credo che l'abbia spiegato molto meglio di quanto possa fare io. L'ho incontrato una sola volta e mi rammarico di non aver avuto la possibilità di salutarlo di nuovo. Secondo me, per indole, avremmo pure diviso a metà un pasticcino. 

domenica 13 luglio 2025

Sì, ricominciare...

 
Uh, quanto tempo. 
Quanto tempo che non torno qui pensando a un blog nel modo in cui sono "nata blogger". 
La prima volta che pubblicai un post su Sodalite, mi ero separata da poco, avevo le pezze al culo e sapevo solo una cosa: volevo fare la scrittrice. 

Oggi sono single da tanto, ho ancora le pezze al culo e faccio la scrittrice, in alcuni mesi dell'anno. Negli altri lavoro per pagare l'affitto. Però so una cosa: voglio continuare a fare la scrittrice. Anche se non so se la definizione che io do al termine sia la stessa del pensiero comune. In realtà, se mi guardo intorno, a parte taluni casi e amiche belle, pare che ci sia una rincorsa alla rendicontazione di fine anno. Contano le copie che hai venduto, non le emozioni che hai messo su carta. 
Certo, gli editori sono imprenditori. Ognuno con il proprio nome ed è ben diverso da "Fate bene fratelli", ma da questo lato della barricata, beh' le cose sono un po' diverse. 

E, comunque, "certo": a chi non piacerebbe vivere di scrittura, magari piazzare il proprio romanzo in tv e capare di diritti televisivi? A me tantissimo. Il punto è che sono dell'idea che ci siano pure millemila persone più brave di me e che meriterebbero quell'opportunità. Ed è come vincere un Superenalotto. Tutti noi abbiamo qualcuno che ha un cuggino che ha comprato un gratta e vinci in un momento di scoramento, ed è diventato milionario. 
Ma le probabilità di diventare quel "cuggino"? Mah. 

E nel mentre in cui si spera? Che si fa? No... dai... non ditelo. Nel mentre bisognerebbe vivere. Al meglio che si può con ciò che si ha. Che non è poco. Non è affatto poco. I TG ce lo dicono ogni santo giorno che quello che abbiamo non è poco. 
Qualche ora fa, qui a Padova, c'è stato un temporale. Ho messo le finestre in ribalta, sistemato le piante in sicurezza perché non si rompessero in caso di grandine, e poi mi sono stesa a letto ascoltando la pioggia contro i vetri. 
La pioggia. 
Contro i vetri. 
Non le sirene che annunciano un bombardamento. 

C'è molto di cui essere grati e con grande facilità spesso ce lo dimentichiamo. 
Da qualche giorno, medito su questo. Su questo e su come posso fare a cambiare quelle cose della mia vita che non funzionano più. Non in senso negativo, semplicemente non rispecchiano più la persona che sono oggi. 
Quando ho detto al mio amico B. che sono cambiata, che i cinque mesi in cui sono stata davvero male mi hanno cambiata, mi ha risposto: "Sarebbe peggio se fossi sempre uguale a te stessa di prima". 
Già. 
Allora che si fa? 
Intanto torno a scrivere come feci tra le pagine virtuali di Sodalite, che per inciso è ancora la mia pietra preferita. 
Questo blog riprenderà vita e non parlerà più solo di libri e di scrittura ma anche di Vita. Oddio, la mia, che non so se sia così interessante ma è l'unica che ho e che vi posso offrire. 

Ora vado a togliere le lenzuola cariche di polvere che hanno ricoperto queste stanze, apro le finestre e magari rimetto qualcosa nel frigo e ho portato pure un bollitore per le tisane.
Ho in mente un bel po' di cambiamenti e, se ne avrete voglia, mi troverete qui a raccontarveli. 

Sono tornata. 
Syssa 

domenica 5 maggio 2024

In un mare senza blu - Francesco Paolo Oreste

 

Già lo scrissi, una volta, che Francesco Paolo Oreste scrive con lo stesso gioco di luci e di ombre con cui Caravaggio dipingeva le sue tele. 
E allora come nella Vocazione di San Matteo, i personaggi venivano colpiti da una lama di luce a cui era impossibile sottrarsi, così come avessimo tra le mani un Michelangelo Merisi al negativo, è un lampo di buio a investire i tre protagonisti di questa storia: Ciro, Michele e Mario.

È così che Vico Stella diventa Vico Nero. 

Nero come la fuliggine, la morte, l'inchiostro delle seppie. 
E dato che al proprio destino nessuno gli sfugge, e qualcuno se la trova scritta addosso da altri, la propria sorte: figlia dal luogo dove è nato, dai genitori che l'hanno messo al mondo o ve lo hanno cacciato, anche i nostri protagonisti si trovano a dover combattere con una vita che non hanno scelto. 
Perché non tutti nascono con l'opportunità di scegliere. O, ancora, quando i tagli dei colori sono così netti, quando fin da piccoli ci viene insegnato a convivere con il buio e le sue ombre, allora scegliere la luce non è così scontato. 
Tanto meno semplice. 
E allora Michele impara a viverlo, il buio. A diventarne padrone, perché il potere genera paura, e la paura è la cosa che conosce meglio, e può gestirla. Sa maneggiarla.  
Ben più dell'amore che da sempre gli è stato negato. 
Ciro invece ci combatte, con ogni sua forza contro il nero, la stessa con cui il bucaneve sfida il gelo dell'inverno per uscire a cercare il sole oltre la neve, la stessa con cui sopravvive il suo di amore. 
Ma, quando sembra la fine, in quel buio ci precipita perché nessuno si salva da solo, specie se si ama così forte e non si sa cosa significa essere amati a propria volta. 

Ma è un libro d'amore, questo? 
No. 
O forse sì: dell'amore mancato, dell'amore ignorato, mai donato, dell'amore sacrificato e ucciso. 
Dell'amore assente. 
Assente dalle strade, dalle mura di casa, dalle vite dei bambini costretti a crescersi da soli, dal volto di una maestra che non accarezza ma deride. L'amore spacciato per tale, che non dona nulla se non sangue e un livido da aggiungere ai precedenti. 
L'amore sacrificato perché renderebbe deboli davanti al potere, e si sa: amore e potere non fanno rima.
Mai. 
L'amore che piega la testa davanti alla morte, e si rassegna a cederle il passo. 
Non solo nei vicoli bui, ma anche nelle vite nere. Quelle costruite sull'apparenza, quelle che nascondono le perversioni in fondo all'armadio come la polvere sotto ai tappeti e brillano di una luce che non gli appartiene. 
È un libro di dolore, con le pagine che ti restano addosso anche dopo che, a fatica, lo riponi sul comodino. 
Perché se è vero che è il dolore che ci fa crescere e ci insegna qualcosa, da quando avremmo affrontato la prima pagina e poi avremmo voltato l'ultima, a quel punto volenti ma soprattutto dolenti, non saremo più gli stessi. 

È un libro che dipinge una realtà che ci sembra così dannatamente lontana dalle nostre vite imperfette, certo, ma mai così fuligginose. 
Una realtà che sembra non appartenere a noi e che di delitti e di pene siamo abituati a sentirne parlare solo attraverso una cronaca essenziale, il tempo di un servizio del TG, e tanto ci basta per ergerci a giudici. E abbiamo imparato a condannare da buoni borghesi a cinquemila anni, più le spese.
Incapaci di andare oltre gli istanti che segnano solo l'epilogo di una storia, e ignorando o peggio, disinteressandoci sul come questa abbia avuto inizio.
Da quale tana invasa dal buio siano usciti quei volti. 

Ma è anche la storia dell'amore salvifico, quello che tende una mano nella disperazione ed è capace di riportare a galla. 
«E cosa siamo?»
«Siamo due pesci pieni di un nero che non ci lascerà mai, ma pure con una voglia di blu che ci circonda e che, forse, ci tiene a galla»
«Come due seppie in altro mare?»
...
«Sì, come due seppie in alto mare, piene di nero e in mezzo al blu.»



mercoledì 14 febbraio 2024

Anna - Barbara Galimberti


Doverosa premessa: questa non è una recensione, non nel senso più tecnico della definizione. Per un motivo molto semplice: non sono un critico letterario. Sono solo una persona che legge, non quanto vorrebbe, a cui piace discorrere di libri, sopratutto quelli che le sono piaciuti. Se leggo libri che non mi conquistano glisso, per due motivi altrettanto semplici: la bellezza sta negli occhi di chi legge. Banale forse, ma tant'è. Non detengo certo la verità universale. Inoltre,  un libro porta con sé una storia sotterranea di energie investite, tempo rubato alla famiglia, agli hobby o al cazzeggio. Quindi merita rispetto, a prescindere. 

Quello che vi apprestate a leggere sono impressioni, sensazioni, che il libro mi suscita. Per le recensioni più tecniche vi rimando agli esperti del ramo.

Una storia delicata, come è delicata la personalità della protagonista: Anna. Postina per mestiere, investigatrice per passione e per animo gentile. Lo stesso animo che la porta a guardare con tenerezza tutte quelle lettere che, per un motivo o un altro, non possono essere recapitate come portatrici di messaggi che non vedranno mai esaudito il proprio compito. Ma Anna cede alla curiosità e apre una busta rosa scoprendo il messaggio scritto da una bimba e destinata a una signora che... abita in una piazza. 
È da queste poche parole che Anna inizierà la sua indagine, e nel suo percorso farà degli incontri che, piccoli o grandi siano, sono destinati a cambiarle in qualche modo la vita. Perché proprio come ci insegna l'autrice, la vita è costellata di incontri e in ognuno di essi potremmo trovare bellezza. 
Una storia che ci fa assaporare una narrazione di altri tempi, uno di quei libri che leggi quando hai bisogno di conforto e di ottimismo. Con il tempo scandito dalle pedalate di una bici più che dal rombo di un motore, e dalla luce del sole estivo dalle ombre lunghe, più che dalla potenza di luci artificiali. 

Ho amato questo libro proprio per la leggerezza con cui ci porta a riflettere sulla vita e i rapporti umani, lasciandomi, una volta finito, con la serenità di una bambina a cui hanno regalato un bastoncino di zucchero filato. 

31 agosto

Annamaria dice che la grande "pulizia" che ho fatto in casa, non è altro che un riflesso del lavoro che ho fatto dentro.  Non è st...