giovedì 20 giugno 2019

Il Lottatore - Guido Nasi

Quando ero piccola e tornavo al paesello di mamma, sua zia "Cìa" mi raccontava storie di bambini morti perché si dimenticavano di respirare. Io tornavo a casa terrorizzata, ripetevo mentalmente ad occhi sbarrati "devo respirare, devo respirare...". 
Fortunatamente qualcuno mi fece riflettere e mi passò. 
Diversi anni dopo, un sabato sera decisi di guardare un film horror. Era estate, ero a casa da sola, ma per farmi coraggio mi infilai la giacca di jeans di mio fratello e tenni la luce accesa accanto alla poltrona. 
Il protagonista del film veniva sepolto vivo. O meglio, lui credeva di essere sepolto, data la cassa di legno che lo avvolgeva, e il buio interrotto a fasi alterne da una piccola torcia che poteva accendere o spegnere, e il silenzio. In realtà questa sorta di bara era al centro del salone di una casa, ma lui non poteva saperlo. Quella notte andai a dormire pensando che ben poche cose siano più terribili dell'essere sepolto vivo. 
Questo libro mi ha smentita. 

Non è una lettura facile. Ma questo lo si evince leggendo la sinossi. Non è un libro facile perché ti sbatte un'altra volta in faccia, se mai ne avessimo bisogno, che la vita non è meritocratica. Che probabilmente il concetto di giustizia è sopravvalutato. Che spesso incazzarsi con il destino ha la stessa utilità di provare a fermare un treno con la sola forza del pensiero.
Guido, a 17 anni, subisce un'aggressione che gli stronca, letteralmente, la vita. Immaginate il vostro periodo più buio, ed è ancora nulla, rispetto a cosa deve aver provato al suo risveglio, quando poteva vedere e sentire le parole intorno a lui, e per il mondo circostante era ancora in coma. 
Guido e i suoi pensieri ti entrano sotto pelle, e nemmeno te ne accorgi, perché all'inizio quando parla della sua infanzia, è così schietto e sincero da non risultare nemmeno simpatico.
Non è certo uno di quei bambini simil pubblicità che ti conquistano con uno sguardo. Ti dà la stessa sensazione di essere uno di quei "marmocchi" esagitati capaci di urtare le vene più profonde delle nevrosi.
E questa è una delle cose che ti colpisce. Perché non gliene frega nulla di apparire "migliore" o diverso. Ha l'aspra schiettezza di chi delle apparenze non sa che farsene. Entra sotto pelle e graffia.
Ma nonostante la situazione che vive, lui direbbe che "muore" ma di fatto vive, in nessun capitolo si trova mai un accenno di quella vena melodrammatica che potrebbe far scaturire sentimenti tipo il compatimento, o la pietà. Rabbia, amore, energia, incazzatura quella forte. Il desiderio di morte, come liberazione.
Ma poi ancora l'ironia.
O per lo meno io l'ho sentita presente nei suoi consigli in pillole.
Alla fine di ogni capitolo dà un suggerimento su come affrontare o risolvere un problema pratico per chi assiste un paziente in coma o con gravi lesioni celebrali, e lo fa con lo stesso tono quasi di leggerezza di alcuni manuali pratici del fai da te.
Guido ti spezza.
Prende la tua realtà con tutti i problemi e li rende piccoli. Sposta il baricentro dell'ego fuori dal lettore e nello stesso tempo ben distante da se stesso. 
E se lo scopo di un libro è di trasportare il lettore in un'altra dimensione, regalargli una realtà diversa e stravolta dal quotidiano, ci sono ben pochi libri che possano eguagliare la potenza di queste pagine.


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